Origine
e significato
Ambiente climatico
italiano
Ambiente pedologico
Tipo e collocazione
delle attività agricole e zootecniche
Sistemi irrigui
Tipologia
dei fertilizzanti azotati
Ciclo dell'azoto
Bilancio dell'azoto
Applicazione
dei fertilizzanti al terreno
Periodi non
opportuni per l'applicazione dei fertilizzanti
Applicazione
dei fertilizzanti:
Concimi minerali
Effluenti
zootecnici
Casi particolari:
Applicazione
dei fertilizzanti in terreni in pendenza
Applicazione
dei fertilizzanti al terreno saturo d'acqua, inondato, gelato
o innevato
Applicazione
dei fertilizzanti ai terreni adiacenti ai corsi d'acqua
Gestione dell'uso
del terreno
Avvicendamenti
Mantenimento
della copertura vegetale
Lavorazioni
e struttura del terreno
Sistemazioni
Gestione dell'
allevamento
Miglioramento
genetico
Formulazione
della dieta
Gestione degli
effluenti di allevamento
Strutture
dell'allevamento
Caratteristiche
stoccaggi per effluenti
Trattamento
degli effluenti:
Separazione
dei solidi
Miscelazione
Stabilizzazione
Trattamento
aerobico
Trattamento
anaerobico
Compostaggio
dei solidi
Effluenti dai
sili per lo stoccaggio dei foraggi
Prevenzione
dell'inquinamento delle acque dovuto allo scorrimento ed alla
percolazione nei sistemi di irrigazione
Piani di fertilizzazione
azotata
Origine
e significato
La
Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, stabilisce
che gli Stati membri elaborino uno o più codici di buona
pratica agricola (CBPA) da applicarsi a discrezione degli
agricoltori.
La motivazione di fondo del CBPA, nonché delle
altre prescrizioni della Direttiva richiamata, concerne la tutela
della salute umana, delle risorse viventi e degli ecosistemi
acquatici, nonché la salvaguardia di altri usi legittimi
dell'acqua.
Il presente documento è un CBPA che prende in considerazione
esclusivamente i problemi dell'azoto in ottemperanza alla Direttiva
comunitaria.
Il CBPA potrà costituire la base per l'elaborazione
di codici mirati ad esigenze regionali o locali a discrezione
delle competenti Amministrazioni, potrà inoltre rappresentare
la base anche per l'elaborazione di altri CBPA riguardanti
i problemi più diversi, come per esempio il fosforo, i
prodotti organici di sintesi o le pratiche irrigue, dato che
è stato formulato con un'articolazione flessibile che
ne consente un più facile adeguamento ad esigenze future
di varia natura.
Nel CBPA, in modo complementare rispetto allo spirito
della Direttiva comunitaria, si è voluto tenere conto
specificatamente anche del ruolo positivo che l'agricoltura può
svolgere nei confronti di altre fonti di inquinamento di natura
extra-agricola.
Per le aree designate vulnerabili ai sensi della Direttiva in
discorso, in quanto connesse con le acque superficiali e profonde
inquinate o potenzialmente inquinabili dai nitrati provenienti
da fonti agricole, la Direttiva prevede la predisposizione di
programmi di azione obbligatori per gli agricoltori, che verranno
elaborati separatamente.
Con un approccio analogo a quello adottato per la Direttiva 91/676
la Comunità Europea ha affrontato il problema della prevenzione
dell'inquinamento dei corpi idrici causato dalle acque reflue
urbane. La Direttiva in materia, la 91/271 concernente il trattamento
delle acque reflue urbane, prevede che siano individuate aree
sensibili costituite da sistemi idrici in cui l'inquinamento
sia causato da scarichi fognari, nelle quali attuare interventi
di risanamento.
Appare evidente come gli interventi previsti dalle due Direttive
debbano essere coordinati, al fine principalmente di indirizzare
in maniera corretta l'azione di prevenzione e risanamento, con
i relativi oneri, verso le principali fonti di inquinamento presenti
sul territorio.
Questo CBPA è dedicato in primo luogo ai servizi
di sviluppo agricolo, cioè ai divulgatori agricoli sia
di base - operanti nelle strutture pubbliche ed in quelle autogestite
delle Organizzazioni professionali, che, in particolare modo,
specializzate in pedologia e conservazione del suolo nonché
gestione degli allevamenti.
Altri diretti utilizzatori del CBPA potranno comunque
senza dubbio ritrovarsi tra gli agricoltori e gli allevatori,
e nel relativo cospicuo indotto interessato ai problemi dell'inquinamento.
Le Regioni potranno curare, come suggerito dalla Direttiva richiamata,
la formulazione e la realizzazione di programmi per la formazione
e l'informazione degli agricoltori, al fine di promuovere l'applicazione
del CBPA.
Per concludere, mentre, come sopra affermato, il CBPA è
applicabile a discrezione degli agricoltori, si deve far presente
che le attività agricole attuate nelle aree riconosciute
come vulnerabili saranno oggetto di misure restrittive obbligatorie
nell'ambito di programmi di azione definiti dalle competenti
autorità.
Infine le pratiche più incisive definite in questo CBPA,
la cui adozione risultasse particolarmente onerosa da parte degli
agricoltori, potranno essere opportunamente incentivate attraverso
una applicazione mirata della opportunità offerta dai
Programmi Agro-ambientali predisposti dalle Regioni in attuazione
del Regolamento CEE N. 2078/92.
Obiettivo principale del presente CBPA è quello
di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior
protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo
l'impatto ambientale dell'attività agricola attraverso
una più attenta gestione del bilancio dell'azoto.
L'applicazione del CBPA può inoltre contribuire
a:
- realizzare
modelli di agricoltura economicamente e ambientalmente sostenibili;
- proteggere
indirettamente l'ambiente dalle fonti di azoto combinato anche
di origine extra-agricola.
Il
CBPA si basa su criteri di flessibilità sia nel
tempo che nello spazio per tenere conto di:
- variabilità
delle condizioni agro-pedologiche e climatiche italiane;
- nuove
conoscenze nel comparto ambientale;
- miglioramenti
nel settore genetico;
- miglioramento
nelle tecniche colturali;
- nuovi
prodotti per la fertilizzazione e la difesa delle piante;
- miglioramenti
nel trattamento degli effluenti zootecnici e delle biomasse di
diversa provenienza convenientemente utilizzabili;
- cambiamenti
di indirizzo del mercato dei prodotti agricoli;
- nuove
tecniche di allevamento e di nutrizione animale.
Il
CBPA deve ottimizzare la gestione dell'azoto nel sistema
suolo/pianta (esistente, entrante, uscente) in presenza di colture
agricole che si succedono e alle quali occorre assicurare un
livello produttivo e nutrizionale economicamente ed ambientalmente
sostenibile al fine di minimizzare le possibili perdite con le
acque di ruscellamento e di drenaggio superficiale e profondo.
Ai fini del presente CBPA vengono richiamate alcune definizioni
in parte desunte dalla direttiva:
- per
composto azotato si intende qualsiasi sostanza contenente
azoto, escluso l'azoto allo stato molecolare gassoso;
- per
bestiame si intendono tutti gli animali allevati per uso
o profitto;
- per
fertilizzante si intende qualsiasi sostanza contenente
uno o più elementi fertilizzanti, applicata al terreno
per favorire la crescita della vegetazione, compresi gli effluenti
zootecnici, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi degli
impianti di depurazione (ai fini del presente CBPA si considerano
principalmente i fertilizzanti azotati);
- per
concime si intende qualsiasi fertilizzante minerale, organico,
organo-minerale, prodotto mediante procedimento industriale;
- per
effluente zootecnico si intendono le deiezioni zootecniche
o una miscela di lettiera e di deiezioni zootecniche, anche sotto
forma di prodotto trasformato;
- per
applicazione al terreno si intende l'apporto di materiale
al terreno mediante distribuzione sulla superficie del terreno,
iniezione nel terreno, interramento, miscelazione con gli strati
superficiali del terreno;
- per
percolazione si intende il passaggio agli acquiferi sottostanti
dell'acqua in eccesso rispetto alla capacità di ritenzione
idrica del terreno e per lisciviazione il trasporto di composti
chimici mediante l'acqua di percolazione;
- per
scorrimento superficiale si intende il movimento sulla
superficie dell'acqua in eccesso rispetto a quella in grado di
infiltrarsi nel terreno.
Per
ottenere un rapporto corretto fra agricoltura, fertilizzanti
azotati e ambiente è essenziale avere una conoscenza approfondita
del contesto agronomico nel quale i fertilizzanti vengono impiegati.
L'impatto di un particolare tipo e di una certa quantità
di prodotto impiegato dipende da una serie complessa di parametri
ambientali e antropogenici che favoriscono od ostacolano la mobilizzazione
delle diverse sostanze organiche ed inorganiche dalla superficie
verso l'atmosfera per volatilizzazione e, più spesso,
per infiltrazione verso gli strati più profondi del suolo.
Di fatto per valutare i rischi di possibile contaminazione delle
acque superficiali o profonde occorre stabilire preliminarmente
quali siano i parametri climatici generali.
Successivamente bisognerà impostare la fertilizzazione
azotata su semplici bilanci tra quanto azoto ogni coltura deve
assorbire per far fronte, senza insufficienze e senza eccessi,
al suo fabbisogno fisiologico, e quanto azoto il terreno mette
a disposizione di ogni coltura; se la fornitura naturale di azoto,
come quasi sempre accade, è inadeguata ai fabbisogni colturali,
la fertilizzazione deve colmare le insufficienze in modo da renderne
massima l'utilizzazione da parte delle colture e, contemporaneamente,
minima la dispersione per dilavamento.
Per ogni coltura sono disponibili dati analitici che indicano
le quantità di azoto assorbito ed il ritmo del suo assorbimento.
Per ogni terreno è possibile stimare l'offerta di azoto
che esso è in grado di fornire prontamente e il ritmo
stagionale di questa.
L'entità della fornitura di azoto è in funzione
delle scorte di questo elemento presenti nel terreno, oltre che
degli eventuali dilavamenti. Il ritmo è a sua volta dipendente
dalle condizioni, stagionalmente variabili, di temperatura e
di umidità, e dalle condizioni di aerazione del terreno,
funzione della tessitura, della struttura, ecc..
Ambiente
Climatico Italiano
L'ambiente
climatico condiziona la possibilità di impatto dei prodotti
impiegati in agricoltura nei confronti delle acque.
Nei climi umidi, la distribuzione delle precipitazioni è
relativamente omogenea nel corso dell'anno. La quantità
di acqua apportata dalle precipitazioni meno quella persa per
evapotraspirazione è spesso vicina a quella drenata dal
suolo; questo eccesso di umidità nel suolo è una
caratteristica presente per la maggior parte dell'anno, cosicché
i processi di lisciviazione sono accentuati e la somministrazione
di fertilizzanti comporta maggiori rischi di trasporto alle acque
sotterranee.
In climi tendenzialmente aridi più comuni nel sud dell'Italia
e nelle isole le precipitazioni si hanno solo in alcuni mesi
dell'anno. L'umidità del suolo raramente supera la capacità
di ritenzione idrica, cosicché l'acqua difficilmente penetra
liberamente verso gli strati inferiori.
I climi temperati-mediterranei sono caratterizzati da temperature
intermedie, e la piovosità annua totale può essere
relativamente abbondante, anche se la distribuzione nelle diverse
stagioni è piuttosto irregolare. L'andamento più
comune è quello di una stagione calda e secca con occasionali
temporali.
Così la stagione secca coincide con quella in cui l'evapotraspirazione
raggiunge i suoi valori massimi; l'irrigazione è essenziale
per prevenire stress delle colture a causa della mancanza di
umidità.. Tipicamente in queste fasce climatiche l'umidità
del terreno può superare la capacità di ritenzione
idrica solo per brevi periodi all'anno.
Come conseguenza la percolazione delle acque verso la falda è
limitata ad un periodo definito, per cui si possono studiare
possibili interventi per prevenire eventuali processi di trasporto
indesiderati.
La maggior parte della lisciviazione dei nitrati si verifica
durante i mesi invernali ed all'inizio della primavera, quando
le precipitazioni ed i fenomeni di percolazione sono elevati
e l'evapotraspirazione è limitata. Durante la stagione
calda l'umidità si muove nel profilo del suolo verso l'alto;
se si usano correttamente le acque irrigue i movimenti dell'acqua
si invertono senza comunque alterare la tendenza generale.
Ambiente
Pedologico
Come
è noto ogni suolo è frutto dell'interazione fra
i diversi fattori pedologici (roccia madre, clima, vegetazione,
morfologia, tempo e uomo), che non sono altro che l'espressione
completa dell'ambiente. Non si può pertanto procedere
allo studio globale dell'ambiente, senza un'approfondimento sui
suoli. " dalla lettura delle caratteristiche intrinseche
del terreno (profondità, tessitura, pH, sostanza organica,
ecc.) che è possibile capire quali sono i reali equilibri
fra i diversi fattori ambientali.
Il suolo è da sempre il vero nodo degli equilibri ambientali
e come tale ogni studio del territorio teso alla riduzione o
al contenimento di un impatto provocato da una qualsiasi specie
chimica ne deve tenere conto adeguatamente.
Nel nostro Paese gli studi sul suolo non sono molto numerosi
e le conoscenze sono assai differenziate. Per alcune Regioni
si sa ben poco, in altre da decenni si lavora di buona lena e
i suoli sono stati studiati con approfondimenti crescenti.
Per l'intero territorio nazionale, tralasciando la carta al milione
e la relativa memoria di F. Mancini e collaboratori che hanno
oramai oltre un quarto di secolo, si può consultare la
carta al milione delle nazioni della comunità europea
aggiornata agli anni '80. Il dettaglio di tali elaborati, vecchi
o più recenti, è tuttavia insufficiente ai nostri
fini e allora conviene verificare cosa esiste per la zona che
ci interessa. Per numerose regioni ci sono carte di sintesi recenti,
in scala l:200 oppure 250.000 (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana,
Sicilia, Sardegna) Per numerose provincie esistono carte talora
non molto recenti altre volte edite da poco, ma frutto tutte
di attenti rilevamenti. Per non piccole aree, a livello di bacino
idrografico, di comprensorio, di comune si dispone di documenti
di ottimo dettaglio. L'area più estesa cartografata al
50.000 è certo quella che interessa la pianura lombarda
(Progetto ERSAL) ma anche altre Regioni possiedono elaborati
in tale scala o addirittura al 25.000 per ampie superfici (ad
es. Sardegna, Emilia-Romagna).
Molti milioni di ettari di terreni di montagna e di alta collina,
coperti da boschi che vanno crescendo sia di superficie che di
provvigione legnosa, o da prati naturali ricevono solo i nitrati
che provengono dalle precipitazioni sia liquide che nevose.
Nelle aree coltivate di colle e di piano sono tradizionali da
decenni somministrazioni di nitrati da parte degli agricoltori.
Tali interventi in passato, quando il costo della mano d'opera
era minore e vigeva un po dappertutto, ma in particolare
nell'Italia centrale, la mezzadria, avvenivano a più riprese
e a piccole dosi. oggi è più frequente un unico
spargimento assai consistente. Il destino di tale fertilizzante
può essere assai diverso. Dipenderà soprattutto
dall'andamento stagionale e dallo stato della coltura, spesso
un cereale, a cui lo si è somministrato.
Se si vuol fare un cenno alla distribuzione e diffusione dei
suoli del nostro paese non pare qui il caso di parlare dei terreni
di montagna sotto boschi in prevalenza di conifere o prati.
Grande diffusione hanno in Italia i vari tipi di suoli bruni
a profilo più o meno differenziato. Li troviamo su vari
substrati, praticamente in tutta Italia, dalle Prealpi alla Sicilia,
sotto boschi di latifoglie e anche in molte aree coltivate. Notevole
importanza assume altresì il fenomeno della lisciviazione
presente soprattutto in ambiente mediterraneo e nei suoli di
non giovanissima età.
Caratteristiche della Puglia e della Sicilia, ma presenti anche
in molte altre regioni, sono le antiche terre rosse, oggi indicate
come suoli rossi o mediterranei e diffuse nei paesaggi calcarei
e carsici, spesso verdeggianti di vigneti e adorni di splendidi
uliveti.
I Vertisuoli, terre fortemente argillose molto fessurate nell'arida
estate, sono presenti in varie pianure centro-meridionali, spesso
di non antica bonifica. Altre terre argillose, ma in paesaggi
collinari, si ritrovano nell'ampia area, dal Piemonte alla Sicilia,
occupata dai sedimenti del mare pliocenico. Quivi si alternano
suoli tendenzialmente sabbiosi, derivanti dai depositi costieri
del ciclo e con frequenza investiti da colture arboree, con altri
invece assai ricchi di limo ed argilla in paesaggi mammellomari
o rotondeggianti, non di rado intagliati da profondi calanchi
che creano localmente dei veri bad lands.. In tali aree sono
tradizionali la cerealicoltura e il pascolo ovino mentre, un
tempo, larga diffusione avevano il rinnovo di favetta e il prato
di sulla. Grande importanza va attribuita ai fertili suoli alluvionali
che coprono purtroppo, solo una piccola parte del territorio
nazionale e che sono stati spesso e per vaste aree sottratti
all'agricoltura e disordinatamente destinati all'urbanizzazione,
all'industria ecc. I terreni alluvionali, profondi, solo raramente
a granulometria sfavorevole, hanno un'elevata fertilità
e possono essere utilizzati per un largo ventaglio di colture.
Di regola prevalgono le colture erbacee, che permettono anche
un rapido adeguamento alle esigenze del mercato con l'introduzione
di nuove specie e varietà e l'abbandono di colture non
più redditizie. Queste terre, che possono risentire, in
aree depresse, di difficile scolo delle acque, sono state soggette,
in tempi antichi e più recentemente, a bonifiche idrauliche
che bisogna seguitare a curare con attenzione.
Una migliore conoscenza dei terreni e della loro dinamica, e
conseguenti scelte più oculate e razionali nella pianificazione
territoriale, permetterebbero di utilizzare meglio e trasmettere
in buone condizioni alle generazioni che verranno questa importante
risorsa, che il nostro Paese possiede in misura non illimitata.
Tipo e Collocazione delle Attività Agricole
e Zootecniche
La
superficie territoriale della penisola italiana assomma a 30
milioni di ettari circa, il 56% dei quali costituisce la superficie
agraria (seminativi, colture arboree, prati e pascoli permanenti,
orti familiari, vivai e semenzai).
Le pianure coprono meno di 1/3 della superficie territoriale
e si estendono per 4 milioni di ettari circa in Italia Settentrionale,
per 2,2 milioni in Italia Meridionale e per solo 0,5 milioni
in Italia Centrale.
Sempre con riferimento alla superficie territoriale, i seminativi
coprono il 36%, i boschi il 25%, i prati e i pascoli il 18%,
le coltivazioni legnose il 12%.
Procedendo dal Nord verso il Sud, il territorio è sede,
in grande sintesi, degli investimenti agricoli e forestali descritti
nel seguito.
Sulle Alpi, specie in quota ed in presenza di acclività
notevoli predominano i boschi, cui seguono verso valle i pascoli,
i prati pascoli, i prati permanenti.
In ambiente settentrionale collinare prealpino ed appenninico
è diffusa la vite; scendendo più a valle, specie
nelle provincie piemontesi e lombarde con grande abbondanza di
acque irrigue, è diffusa la coltura del riso attuata con
lunghi periodi di sommersione.
Altrove, nella Pianura Padana dal clima in genere temperato fresco
ed abbastanza umido, si praticano le colture del grano tenero,
del mais, della barbabietola, delle foraggere avvicendate, della
patata, del pomodoro da industria, della soia e di varie orticole.
Il mais è particolarmente coltivato nel Veneto, dove in
regime intensivo può raggiungere produzioni molto alte.
Sempre in pianura, tra le colture legnose è diffusamente
rappresentata la vite, mentre le colture frutticole sono molto
diffuse in Emilia-Romagna.
Tipica della Liguria, con il suo clima marittimo molto temperato,
è la floricoltura in serra.
In Italia Centrale il clima è meno umido e più
marittimo, cè minore disponibilità di acque
irrigue e le pianure hanno estensioni esigue. Sulle catene montuose
sono presenti boschi e pascoli appenninici, mentre sulle colline
oltre ai prati avvicendati sono presenti colture mediterranee,
come la vite e l'olivo. Prevalentemente in pianura sono coltivati
il tabacco, il girasole e varie specie orticole, e su superfici
di ampiezza molto più modesta rispetto all'Italia Settentrionale
continuano ad essere coltivate le specie da pieno campo precitate,
tranne il riso.
Nell'Italia Meridionale e Insulare prevalgono condizioni di clima
temperato caldo, tendenzialmente arido, con notevole luminosità..
Continuano ad essere ben rappresentati i boschi ed i pascoli
appenninici e le colture da pieno campo erbacee e arboree analoghe
a quelle dell'Italia Centrale, ma l'olivo tra le colture mediterranee
occupa una superficie notevole, e sono anche estesamente coltivati
grano duro e agrumi.
Orticoltura e floricoltura, a volte in regime intensivo e frequentemente
sotto serra, coprono ampie superfici.
Quanto alle dimensioni aziendali, circa il 73% delle aziende
agricole italiane ha una dimensione non superiore ai 5 ettari,
pari al 16% della superficie totale, mentre le aziende di maggiore
estensione, presenti soprattutto nella Pianura Padana, pur di
numero molto limitato, coprono la maggior parte della restante
superficie.
Relativamente al settore zootecnico, le aziende agricole con
allevamenti di bestiame sono circa 1 milione, delle quali 430.000
ospitano 8,1 milioni di bovini (2,5 milioni sono vacche da latte),
410.000 ospitano 8,5 milioni di suini e 160.000 ospitano 10,4
milioni di ovini.
Per gli avicoli circa 850.000 aziende allevano 50 milioni di
galline ovaiole e 74 milioni di polli da carne.
A livello territoriale la produzione di carne è concentrata
per circa 2/3 in Italia Settentrionale, con prevalenza delle
carni bovine e suine nell'Italia Nord-Occidentale, e delle carni
avicole nell'Italia Nord-Orientale. Le carni equine ed ovicaprine
sono prevalentemente prodotte nell'Italia Meridionale.
Il latte è prodotto per oltre il 75% nell'Italia Settentrionale,
con una certa prevalenza nell'Italia Nord-Occidentale.
Non discostandosi da altri paesi mediterranei comunitari, e a
differenza dei partner Centro e Nord europei, l'Italia ha, sia
per la produzione della carne bovina e suina, sia per la produzione
del latte, una gamma di aziende che va dalle piccole, presenti
prevalentemente in collina e in montagna, alle medie e alle grandi
presenti, specie queste ultime, in pianura e nel settentrione.
Le aziende medio grandi comprendono sia per il latte che per
la carne bovina, e soprattutto per i suini, la maggior parte
del numero complessivo di capi, infatti l'apporto produttivo
delle molte aziende piccole è modesto.
Sistemi Irrigui
Secondo
statistiche ISTAT del 1988 le aziende agricole che in Italia
praticano irrigazione sono circa 750.000 e corrispondono al 26%
del totale. Vengono mediamente irrigati 3.000.000 di ettari,
ossia il 19% della superficie agraria utile italiana (SAU).
L'entità della lisciviazione dei nitrati decresce con
l'aumentare dell'efficienza di distribuzione dell'acqua. In linea
generale, sia per l'irrigazione a pioggia che per quella localizzata
a bassa pressione, la quantità di acqua da somministrare
ad ogni intervento irriguo dovrebbe bagnare solo lo spessore
di terreno interessato dalle radici della coltura.
Le tipologie di irrigazione maggiormente diffuse sono quelle
per sommersione, per scorrimento superficiale e per infiltrazione
laterale da solchi, che irrigano circa il 14% della SAU; le più
moderne e in via di diffusione sono quella a pioggia e più
ancora quella localizzata a bassa pressione.
L'irrigazione
per sommersione totale e continua nel tempo
Come
ad esempio in risaia, determina nel terreno un moto dell'acqua
verticale, dalla superficie verso gli strati profondi, spostando
nella stessa direzione sostanze solubili, con possibilità
d'inquinamento delle acque di falda. Fenomeno che non si verifica
per i nitrati, perché alle temperature richieste per la
coltivazione del riso il processo di denitrificazione viene inibito.
L'irrigazione
per scorrimento superficiale
È
caratterizzata invece da un movimento dell'acqua verticale nel
terreno dagli strati superficiali a quelli profondi, ed orizzontale
sul terreno, parallelamente alla superficie. Essa può
dare luogo a perdite di nitrati, sia per percolazione profonda
che per colature terminali. Le perdite per percolazione profonda
decrescono passando dall'inizio alla fine dell'unità irrigua,
da terreni sabbiosi permeabili a terreni tendenzialmente argillosi,
poco rigonfiabili ed a bassa permeabilità, da terreni
superficiali a terreni profondi; dalle colture con apparato radicale
superficiale a quelle con apparato radicale profondo.
L'irrigazione
per infiltrazione laterale da solchi
Presenta
caratteristiche molto simili a quelle della irrigazione per scorrimento
superficiale, con movimento dell'acqua nel terreno verticale
al di sotto del solco e tendenzialmente orizzontale lateralmente
ad esso, con movimento dell'acqua sul terreno, invece, parallelo
alla superficie. Pertanto anche con questo metodo possono verificarsi
perdite di acqua e di soluti sia per percolazione profonda, al
di sotto dei solchi, che per colature terminali, all'estremità
inferiore dei solchi.
L'irrigazione
a pioggia
(È
irrigato in tal modo il 5% della SAU), invece, prevedendo l'applicazione
dell'acqua contemporaneamente sull'intera superficie disponibile,
non dovrebbe dare luogo a problemi di disformità di distribuzione
a causa di differenti tempi di permanenza dell'acqua nei diversi
punti della superficie di terreno irrigata contemporaneamente.
L'irrigazione
localizzata a bassa pressione
(1%
rispetto alla SAU), prevedendo la distribuzione dell'acqua localizzata
e con bassa intensità di erogazione, (irrigazione a goccia
e con spruzzatori) si adatta a tutte le situazioni di terreno
e non dà generalmente luogo a ruscellamento.
Tipologia dei Fertilizzanti Azotati
L'apporto
di azoto alle colture può essere ottenuto utilizzando
sia i concimi che gli ammendanti. La scelta e quindi le aspettative
di risposta a livello produttivo ed ambientale sono da calibrare
in funzione della forma chimica in cui l'azoto è presente
nei prodotti usati. Per indirizzare tali scelte è opportuno
illustrare, in breve, le forme di azoto presenti ed il loro comportamento
nel terreno e nella nutrizione vegetale.
Concimi con azoto
esclusivamente nitrico:
Lo
ione nitrico è di immediata assimilabilità da parte
dell'apparato radicale delle piante, e pertanto di buona efficienza.
Esso è mobile nel terreno e quindi esposto ai processi
di dilavamento e di percolazione in presenza di surplus idrici.
L'azoto nitrico deve essere usato nei momenti di maggior assorbimento
da parte delle colture (specie in copertura e meglio in quote
frazionate).
I
principali concimi contenenti solo azoto sotto forma nitrica
sono il nitrato di calcio (N=16%) ed il nitrato di potassio (N=15%;
K2O=45%).
Concimi con azoto
esclusivamente ammoniacale:
Lo
ione ammonio, a differenza dello ione nitrico, è trattenuto
dal terreno e quindi non è dilavabile e/o percolabile.
La maggior parte delle piante utilizza l'azoto ammoniacale solamente
dopo la sua nitrificazione da parte della biomassa microbica
del terreno. L'azoto ammoniacale ha pertanto un'azione più
lenta e condizionata dall'attività microbica.
I principali concimi contenenti solo azoto ammoniacale sono l'ammoniaca
anidra (N=82%), il solfato ammonico (N=20-21%), le soluzioni
ammoniacali (titolo minimo: 10% N), i fosfati ammonici (fosfato
biammonico 18/46 e fosfato monoammonico: 12/51).
Concimi con azoto
nitrico e ammoniacale:
Tali
tipi di concimi rappresentano un compromesso positivo fra le
caratteristiche dei due precedenti tipi di prodotti. In funzione
del rapporto fra azoto nitrico ed ammoniacale essi possono fornire
soluzioni valide ai diversi problemi di concimazione in funzione
dello stadio delle colture e delle problematiche di intervento
in campo.
Il principale dei prodotti nitro-ammoniacali è il nitrato
ammonico, normalmente commercializzato in Italia al titolo 26-27%
N, metà nitrico e metà ammoniacale. Esistono pure
soluzioni di nitrato ammonico e urea (titolo minimo 26% in N;
titolo commerciale più diffuso: N=30%).
Concimi con azoto
ureico:
La
forma ureica dell'azoto è di per sé stessa non
direttamente assimilabile da parte delle piante. Essa deve essere
trasformata per opera dell'enzima ureasi prima in azoto ammoniacale
e successivamente per azione dei microrganismi del terreno in
azoto nitrico per poter essere metabolizzato dalle piante. L'azoto
ureico ha pertanto un'azione lievemente più ritardata
rispetto all'azoto ammoniacale. Si deve tenere presente però
che la forma ureica è mobile nel terreno ed è molto
solubile in acqua.
Il prodotto fondamentale è l'urea (N=46%), il concime
minerale solido a più alto titolo in azoto.
Concimi con azoto
esclusivamente organico:
Nei
concimi organici l'azoto in forma organica è prevalentemente
in forma proteica. La struttura delle proteine che lo contengono
è più o meno complessa (proteine globulari o comunque
facilmente idrolizzabili e scleroproteine) in funzione della
natura dei prodotti organici di provenienza, e quindi la disponibilità
dell'azoto per la nutrizione delle piante è più
o meno differenziata nel tempo, da alcune settimane ad alcuni
mesi. Tale disponibilità passa attraverso una serie di
trasformazioni: da amminoacidi, successivamente ad azoto ammoniacale
e poi ad azoto nitrico. Essi pertanto trovano la loro migliore
utilizzazione nelle concimazioni di pre-semina e per colture
di lungo ciclo.
Fra i principali concimi organici si ricordano il cuoio, la cornunghia,
il sangue secco, la farina di carne e di pesce, la pollina, il
letame essiccato ecc.
Concimi con azoto
organico e minerale (concimi organo-minerali):
Sono
prodotti che consentono di attivare l'azione dell'azoto nel tempo:
contemporaneamente assicurano una combinazione sostanza organica
di elevata qualità/elemento della nutrizione aumentandone
la disponibilità per la pianta.
Concimi con azoto
cianammidico:
Il
prodotto tipico contenente azoto sotto forma cianammidica è
la calciocianammide (titolo minimo in azoto 18%). Anche l'azoto
cianammidico per essere assimilato dalle piante deve trasformarsi
nel terreno in azoto nitrico. I passaggi di questa trasformazione
sono:
- liberazione
della cianammide per azione dell'umidità e dell'anidride
carbonica sulla calciocianammide di partenza;
- trasformazione
dell'azoto cianammidico in azoto ureico per idrolisi catalizzata
dagli ossidi di manganese presenti nel suolo;
- ammonizzazione
dell'azoto ureico per azione enzimatica (ureasi);
- ossidazione
dell'azoto ammoniacale ad azoto nitrico per azione dei microrganismi
specifici nel suolo.
Per
questa serie di passaggi l'azione dell'N cianammidico risulta
leggermente più ritardata rispetto a quella dell'azoto
di origine ureica.
Concimi con azoto
a lenta cessione:
Lo
scopo di ottenere prodotti che hanno la capacità di cedere
azoto in maniera progressiva nel tempo e quindi presentino gli
aspetti economici positivi di una concimazione in un'unica soluzione
senza o con ridotte perdite nell'ambiente, è stato raggiunto
o almeno avvicinato soprattutto seguendo due vie tecnologiche
diverse. La prima consiste nella preparazione di composti di
condensazione tra urea e aldeidi. A questa famiglia di prodotti
appartengono la formurea (N38%), l'isobutilendiurea (IBDU: N=30%)
e la crotonilidendiurea (CDU: N=28%).
La seconda via consiste nel rivestire con membrane più
o meno permeabili i prodotti tradizionali.
Effluenti zootecnici:
La
diversità di effetti che gli effluenti zootecnici esplicano
sul sistema agroambientale si giustifica con la variabilità
della loro composizione, riferita sia alle quantità che
alla qualità.. Per quanto riguarda l'azoto, il confronto
fra i diversi materiali deve essere fatto non solo sulla base
del contenuto totale, ma anche della sua ripartizione qualitativa.
Questo elemento, infatti, è presente nella sostanza organica
di origine zootecnica in varie forme, che possono essere funzionalmente
aggregate in tre frazioni:
- azoto
minerale;
- azoto
organico facilmente mineralizzabile;
- azoto
organico residuale (a lento effetto).
Si
possono così sintetizzare le caratteristiche salienti
dei diversi materiali.
Letame
bovino:
Costituisce
un materiale a sé, di difficile confrontabilità
con gli altri a motivo dell'elevata presenza di composti a lenta
degradabilità.. La particolare maturazione ne ha fatto
un materiale altamente polimerizzato al punto di risultare recalcitrante
verso la microflora e da scoraggiarne perciò la demolizione.
La sua funzione è in massima parte ammendante, contribuendo
a promuovere l'aggregazione delle particelle terrose e la stabilità
dei glomeruli formati. L'effetto nutritivo, pur presente, ha
importanza relativamente minore, ma si protrae per più
annate dopo quella di somministrazione. Si indica che questo
effetto nutritivo nel primo anno di apporto equivalga al 25%
dell'azoto totale presente. Nelle sperimentazioni italiane, però,
raramente si è potuto ritrovare questa efficienza, rimanendo
spesso al di sotto del 20%. L'effetto residuo assume consistenza
rilevante fino a diversi anni dalla cessazione degli apporti,
in funzione del tipo di suolo, del clima, delle lavorazioni,
delle altre concimazioni e della coltura che ne approfitta.
Liquame bovino:
Presenta
caratteristiche fortemente differenziate in funzione dei sistemi
di allevamento, potendo andare da liquame vero e proprio (7%
di sostanza secca) fino alla consistenza più o meno pastosa
del cosiddetto liquiletame, che può arrivare ad un tenore
in sostanza secca del 15-20% quando viene usata lettiera in ragione
di 3-4 kg per capo e per giorno. L'effetto strutturale può
far affidamento su una quantità quasi dimezzata rispetto
al letame di composti dell'azoto a lenta degradabilità
(40%), mentre l'effetto nutritivo nel primo anno di mineralizzazione
può arrivare al massimo al 60%. In generale, quindi, si
tratta di un concime di media efficienza nel corso del primo
anno e di buon effetto residuo, ma la grande variabilità
del materiale può far discostare di molto le caratteristiche
funzionali da quelle medie appena indicate. In particolare, la
maggiore presenza di lettiera avvicinerà maggiormente
il comportamento a quello del letame mentre i sistemi di separazione
e di stoccaggio influenzeranno il grado di maturazione e di stabilizzazione.
Liquame suino:
Pur
nella inevitabile variabilità di composizione in funzione
delle tipologie di allevamento e - maggiormente in questo caso
- di trattamento delle deiezioni, risulta più facile stimarne
la composizione e il valore fertilizzante. Infatti, è
un materiale che può arrivare a fornire già nel
primo anno efficienze dell'azoto pari all'80%. " evidente,
allora, che l'effetto residuo può essere solo limitato,
così come il contributo al miglioramento della stabilità
strutturale.
Pollina:
In
questo caso la quasi totalità dell'azoto è presente
in forma disponibile già nel primo anno di somministrazione.
Ne risulta quindi un concime di efficacia immediata, paragonabile
a quelli di sintesi. Anche in questo caso, l'effetto residuo
può essere considerato blando e quello strutturale praticamente
insignificante. " un materiale molto difficile da utilizzare
correttamente, perché non stabilizzato, di difficile distribuzione,
soggetto a forti perdite per volatilizzazione, con problemi di
emissioni sgradevoli. Tali inconvenienti possono essere però
considerevolmente ridotti o eliminati utilizzando sistemi di
trattamento quali la preessiccazione o il compostaggio che consentono
di valorizzarne le proprietà nutritive e strutturali.
Compost:
I
compost sono ammendanti ottenuti mediante un processo di trasformazione
biologica aerobica di matrici organiche di diversa provenienza.
Di particolare interesse per le aziende che possono disporre
di deiezioni zootecniche è il compostaggio di materiali
ligno-cellulosici di recupero (paglie, stocchi, residui colturali
diversi) che vengono mescolati alle deiezioni tal quali o trattate.
A questa grande variabilità delle matrici di partenza
si aggiunge quella dei sistemi di compostaggio, relativamente
alle condizioni fisiche e ai tempi di maturazione.
Diventa perciò difficile generalizzare il comportamento
agronomico dei compost; si può tuttavia ritenere che il
risultato medio di un processo di compostaggio, correttamente
condotto per un tempo sufficiente e con materiali più
tipici dell'azienda agraria, origini un fertilizzante analogo
al letame. Sarà quindi caratterizzato da una bassa efficienza
nel corso del primo anno, compensata da un più prolungato
effetto; anche le proprietà ammendanti possono essere
assimilate a quelle del letame.
Sempre in considerazione della eterogeneità di provenienza
delle matrici organiche compostabili, l'impiego del compost deve
attuarsi con particolari cautele a causa della possibile presenza
di inquinanti (principalmente metalli pesanti) che ne possono
limitare l'impiego a dosi definite, previa analisi del terreno
e del compost da utilizzare, sulla base di quanto disposto dalle
normative vigenti.
Fanghi di depurazione:
È
possibile l'impiego come fertilizzanti di fanghi da processi
di depurazione di acque reflue urbane o altri reflui analoghi
aventi caratteristiche tali da giustificarne un utilizzo agronomico
(adeguato contenuto in elementi della fertilità, in sostanza
organica, presenza di inquinanti entro limiti stabiliti). L'azoto
contenuto nei fanghi di depurazione, estremamente variabile,
mediamente 3-5% sulla sostanza secca, è disponibile dal
primo anno.
L'utilizzo agronomico di questi prodotti, per i quali valgono
cautele analoghe a quelle espresse precedentemente per i compost,
è tutelato dal Decreto legislativo n. 99 del 27 gennaio
1992, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del 15 febbraio
1992; questo decreto definisce i fanghi e le dosi impiegabili,
le caratteristiche dei terreni recettori, le colture ammesse,
le procedure autorizzative richieste.
Inibitori enzimatici:
Uno
strumento importante per influire sulla disponibilità
dell'azoto non nitrico, e cioè sulle trasformazioni biochimiche
che avvengono nel terreno è quello che agisce con opportune
sostanze chimiche sugli enzimi e/o sui batteri che provocano,
come risultato finale del processo, la formazione di ioni nitrato.
Le sostanze più conosciute e sperimentate a livello agronomico
sono quelle che rallentano la trasformazione dello ione ammonio
in ione nitrico. Tali sostanze sono denominate inibitori di nitrificazione.
Attualmente vi sono in commercio formulati con l'addizione di
quantità calibrate di diciandiammide (DCD).
L'addizione di inibitori di nitrificazione è stata sperimentata,
in Europa, anche per gli effluenti zootecnici, al fine di ritardare
la nitrificazione della elevata aliquota di azoto ammoniacale
presente nei liquami, e quindi aumentarne l'efficienza.
Ciclo dell'Azoto
Il
ciclo dell'azoto è molto complesso, e soprattutto dal
punto di vista degli equilibri ambientali è di difficile
interpretazione perché vi sono molti ingressi e molte
uscite della natura più varia.
La prima caratteristica importante del ciclo dell'azoto è
quella di presentare una serie di trasformazioni consistenti
in reazioni di ossidoriduzione.
Per schematizzare il ciclo dell'azoto in natura lo si può
immaginare composto da tre sottocicli distinti.
Il primo sottociclo avviene praticamente senza alcuna reazione
di ossidoriduzione.
Questo sottociclo si riduce a un flusso di azoto ammoniacale
fra riserve, soluzione del suolo e pianta. Nella pianta l'azoto
ammoniacale viene inserito nel ciclo del carbonio e passa in
forma organica; dalle spoglie vegetali che pervengono al suolo
l'azoto organico viene ritrasformato in azoto ammoniacale e il
ciclo si chiude.
Si può aggiungere che ancor oggi le riserve dell'azoto
del nostro pianeta sono costituite per il 94-98%, a seconda delle
stime, da azoto ammoniacale.
Il secondo e terzo sottociclo comportano processi di ossidoriduzione
e pertanto scambi di energia. Il secondo sottociclo si svolge
tutto fra suolo e pianta, o meglio fra organismi viventi, vegetali
e catene alimentari. I promotori di questo sottociclo sono alcuni
gruppi di batteri che ossidano l'azoto ammoniacale ad azoto nitrico
(processo di nitrificazione) allo scopo di utilizzare l'energia
che si libera nel processo di ossidazione e che viene poi utilizzata
per le biosintesi e per le varie esigenze cellulari.
La forte quantità di energia liberata nel corso del processo
e utilizzata dagli organismi nitrificanti deve essere spesa poi
dalle piante con una significativa maggiorazione, per ridurre
nuovamente gli ioni nitrato a ioni ammonio. Mentre gli ioni ammonio
sono trattenuti dal terreno, gli ioni nitrato sono di solito
completamente liberi nella soluzione del terreno, di modo che
le radici li possono assorbire con grande facilità. La
nitrificazione, perciò, non fa altro che facilitare l'assunzione
dei nitrati da parte dei vegetali, spostando l'equilibrio dall'azoto
ammoniacale all'azoto nitrico.
Il terzo sottociclo, infine, si svolge tutto fra suolo e atmosfera.
In questo caso i promotori del ciclo sono alcuni organismi capaci
di fissare l'azoto elementare N2 presente nell'atmosfera. L'azoto
elementare viene trasformato in ioni ammonio NH4+ e questo processo,
consistendo in una riduzione, richiede una notevole quantità
di energia. I più celebri azotofissatori sono quelli simbionti,
come i rizobi dell'erba medica e delle altre leguminose, che
vivono a spese delle piante ospiti per quanto riguarda le loro
necessità di alimenti e di energia, ma che cedono in cambio
gran parte dell'azoto fissato.
L'effetto pratico di questo terzo sottociclo è quello
di immettere azoto nei cicli biologici. Una conseguenza è
quella di aumentare l'intensità del processo di nitrificazione,
che è comune sia al secondo che al terzo sottociclo. Per
contro, l'azotofissazione viene inibita quando cè
una certa quantità di ioni ammonio già presente
nel mezzo. La concimazione azotata, ovviamente, può bloccare
del tutto i processi di azotofissazione.
Il terzo sottociclo si conclude con la denitrificazione: non
è possibile il passaggio diretto dell'ammoniaca ad azoto
elementare. La denitrificazione trasforma l'azoto nitrico NO3-
in azoto elementare N2 ed avviene tipicamente in ambiente riducente:
nei terreni sommersi, che sono asfittici, e nelle nicchie anaerobiche
(microambienti poveri di ossigeno) dei terreni normali, dove
i nitrati vengono utilizzati per la respirazione, ossia per consumarne
l'ossigeno, mentre l'azoto si libera come azoto elementare N2
o tutt'al più con un piccolo residuo di ossigeno, in forma
di protossido N2O.
Se si riuniscono i tre sottocicli si ottiene il ciclo completo
dell'azoto in natura. poiché molte delle reazioni del
ciclo sono reversibili e tutte collegate, qualunque aggiunta
di un termine intermedio provoca spostamenti e reazioni che interessano
gli altri termini e qualunque inibizione di un passaggio può
interagire con l'intero ciclo.
Bilancio dell'Azoto
Poiché
il ciclo dell'azoto nel suolo è estremamente complesso,
la formulazione di un corretto bilancio dell'azoto costituisce
un problema di non facile soluzione in quanto solo una parte
degli input di questo elemento viene ritrovata nel terreno, mentre
non è chiara la destinazione di altre porzioni, peraltro
non trascurabili, date per perdute, senza sufficienti dimostrazioni
scientifiche del fenomeno. Anche l'impiego dell'isotopo 15N non
ha eliminato completamente le incertezze esistenti riguardo alla
caratterizzazione delle diverse forme di azoto indispensabili
per quantificare le riserve azotate cui le piante possono ricorrere
per sopperire alle loro esigenze nutritive. Stesse voci del bilancio
dell'azoto quale ad esempio l'ammonio fissato alle argille possano
comparire come input o output a seconda del diverso stato colturale
del suolo.
Nonostante tutte le incertezze sopraesposte, a titolo esemplicativo
un bilancio dell'azoto potrebbe essere formulato tenendo conto
delle voci seguenti:
Entrate
a)
Dotazione iniziale di azoto assimilabile corrispondente all'incirca
all'1% dell'azoto totale presente in uno strato arabile di 40
cm e valutato in alcuni casi sperimentali intorno a 30-35 kg/ha.
A questa dotazione di azoto può contribuire anche massicciamente
l'azoto in forma di ione ammonio fissato dalle argille (vedi
lettera l).
b) Azoto che potenzialmente può mineralizzare dalla sostanza
organica del terreno durante il ciclo colturale, può contribuire
alla nutrizione azotata delle colture fornendo in un anno anche
più di 80 kg/ha di N con i valori massimi di cessione
nei periodi primaverili ed autunnali quando si verificano le
condizioni ottimali per l'attività microbica.
c) Restituzioni colturali: per queste si deve considerare che
l'interramento dei residui vegetali ad elevato rapporto C/N,
quando si esegue, provoca una momentanea immobilizzazione dell'azoto
solubile intercettando e riorganicando 1 kg di N per ettaro per
ogni 100 kg/ha di residui pagliosi ed inducendo un aumento del
rapporto C/N. La mineralizzazione di questa quantità di
azoto immobilizzato, tuttavia, nel caso dell'interramento di
residui pagliosi come quelli del mais, non si verifica prima
di 5-6 mesi e si esaurisce nell'arco di due anni.
d) Azoto delle deposizioni secche ed umide stimato, per esempio,
in zone della pianura padana intorno a 10-15 kg/ha anno. Tale
quantità può essere notevolmente incrementata in
zone industriali o ad attività zootecnica.
e) Fissazione simbiontica dell'azoto atmosferico in presenza
di leguminose: dipende dalla specie vegetale coltivata e può
oscillare intorno a 100-120 kg/ha anno con massimi che superano
anche i 300 kg/ha anno. Tale fissazione superando il fabbisogno
della coltura determina un effetto residuo che nel caso di un
medicaio di almeno quattro anni è stato valutato intorno
a 80 kg/ha nel primo anno, con valori di 50 nel secondo anno
e così via. Va inoltre tenuto presente che nel caso vengano
effettuate delle somministrazioni di fertilizzanti la fissazione
simbiontica viene annullata.
f) Fertilizzazione.
Uscite
g)
L'organicazione dell'N solubile ad opera dei microrganismi del
suolo è stimabile intorno al 25% dell'azoto proveniente
da a) a g) e riguarda tutte le forme di fertilizzazione.
h) La percolazione è variabile con l'andamento climatico,
e non dovrebbe superare valori che in climi mediterranei sono
stimati spesso intorno a pochi kg/ha/anno.
i) L'erosione e scorrimento superficiale. La valutazione di questi
processi dipende dalla struttura e granulometria del terreno,
dal suo stato idrico, dalle lavorazioni, dalla pendenza, dalla
vegetazione, ecc., nonché dalla natura delle precipitazioni
e dal loro effetto meccanico, dalla loro intensità oraria,
ecc.. In terreni coltivati di pianura queste perdite sono trascurabili.
l) L'azoto fissato dalle argille è una voce ancora oggetto
di studio e varia con le condizioni pedoclimatiche e costituisce
una notevole riserva di azoto del terreno. Sulla base delle attuali
conoscenze può essere stimata dai 5 ai 30 kg/ha anno,
ma in certi casi anche quantità superiori.
m) La denitrificazione è una voce molto variabile, e dipende
soprattutto dal tipo di utilizzazione del suolo e delle sistemazioni
idrauliche; ad esempio per i terreni sommersi può essere
anche dell'ordine delle decine di kg per ettaro per anno. Si
tratta comunque di perdite innocue che in casi particolari possono
rappresentare un mezzo di disinquinamento del suolo.
n) Le asportazioni colturali, variabili con le condizioni pedoclimatiche
e col tipo di gestione colturale, sono strettamente collegate
all'obiettivo di produzione.
Applicazione dei Fertilizzanti ai Terreni
Periodi
non opportuni per l'applicazione dei fertilizzanti
Motivazioni
La
concimazione azotata con concimi minerali è pratica adottata
per tutte le colture non leguminose. Al fine di attuarla in modo
razionale occorre fornire concimi azotati il più vicino
possibile al momento della loro utilizzazione: è questa
una misura efficace per ridurre il pericolo che l'azoto venga
dilavato nel periodo tra la concimazione e l'utilizzazione. Inoltre
la concimazione azotata si basa sul principio di rendere massima
l'efficacia di utilizzazione da parte delle colture, e minima
complementarmente la dispersione per dilavamento.
Nel caso si utilizzino effluenti zootecnici è importante
ricordare che la disponibilità dell'azoto dei liquami
nei confronti delle piante dipende dalla presenza di forme di
azoto diverse quale l'organico, l'ureico, l'ammoniacale ed il
nitrico. Le frazioni prontamente disponibili sono quelle nitrica
ed ammoniacale; quote ulteriori sono rese assimilabili a seguito
di processi di mineralizzazione della frazione organica. Ulteriori
fattori che influenzano la disponibilità dell'azoto di
origine zootecnica sono le concentrazioni ed i rapporti tra i
composti di azoto presenti, le dosi somministrate, i metodi e
le epoche di applicazione, il tipo di coltura, le condizioni
del suolo e del clima, ecc..
In confronto ai concimi minerali l'efficienza dell'azoto totale
dei liquami nell'anno di applicazione è stimata mediamente
tra il 50 e il 70% con valori crescenti per liquami bovini, suini
e avicoli; negli anni successivi la mineralizzazione della quota
residua compensa parzialmente le suddette differenze.
L'efficienza dell'azoto totale dei liquami rispetto ai concimi
minerali varia inoltre notevolmente per ciascuna coltura in relazione
all'epoca di somministrazione e a parità di epoca di somministrazione
si riduce all'aumentare della dose. Tale efficienza aumenta in
terreni con tessitura franca o sciolta.
Azioni
Colture
a ciclo molto lungo, autunno-primaverile (tipicamente frumento
e cereali affini, colza, erbai di graminacee): va evitata categoricamente
la concimazione azotata alla semina; questa va effettuata in
copertura in corrispondenza dei momenti di forte fabbisogno:
segnatamente durante la fase di differenziazione delle infiorescenze
e poco prima della ripresa vegetativa primaverile (levata).
Colture perenni (prati, pascoli, arboreti, ortensi perenni):
gli apporti azotati devono precedere di poco la ripresa vegetativa
primaverile che segna l'inizio del periodo di forte assorbimento.
Colture a semina primaverile (barbabietola, girasole, mais, sorgo,
pomodoro, peperone, melone, anguria, ecc.): la concimazione azotata
alla semina è accettabile per il non lunghissimo lasso
di tempo che intercorre tra il momento della concimazione e quello
dell'assorbimento purché una limitata piovosità
in questo periodo renda il dilavamento poco probabile. Qualora
la piovosità media del periodo primaverile sia invece
elevata occorre prevedere il frazionamento dei quantitativi oppure
l'utilizzazione di fertilizzanti a lenta cessione e l'additivazione
di inibitori della nitrificazione.
Sono comunque da incoraggiare quelle tecniche con le quali la
concimazione azotata viene effettuata con poco anticipo rispetto
ai momenti di forte fabbisogno (concimazione in copertura, fertirrigazione).
Colture a ciclo breve (ortensi): nel caso di colture a ciclo
breve, come la maggior parte delle ortensi da foglia, da frutto
o da radice (insalate, cavoli, zucchine, ravanelli, ecc.) il
momento di esecuzione della concimazione passa in secondo piano,
come misura di contenimento delle perdite per dilavamento dei
nitrati, rispetto al rischio, ben maggiore, di un irrazionale
eccesso di concimazione azotata molto ricorrente in questo tipo
di colture.
Nel caso si utilizzino effluenti zootecnici occorre preventivamente
pianificarne la distribuzione in funzione del fabbisogno fisiologico
della coltura e delle epoche idonee e non in funzione delle esigenze
dei contenitori di stoccaggio; è consigliata l'applicazione
a terreni agrari tra la fine dell'inverno e l'inizio dell'estate.
" praticabile l'applicazione al terreno degli effluenti
ad inizio estate o in autunno dopo il raccolto solo se si prevede
una coltura che possa utilizzare l'azoto nel periodo invernale
(cereali autunno-vernini, colture intercalari, cover crops, ecc.).
" consigliabile comunque prevedere l'applicazione al suolo
degli effluenti zootecnici quando maggiore è l'efficienza
dell'azoto in relazione alla coltura.
Nel caso di somministrazioni elevate occorre frazionare la somministrazione
in più dosi.
Applicazione dei fertilizzanti
Concimi
Minerali
Motivazioni
L'applicazione
dei fertilizzanti al terreno può avvenire con distribuzione
su tutta la superficie o per localizzazione, con o senza interramento
per entrambe le tecniche. In linea di principio l'applicazione
dei fertilizzanti dovrebbe interessare solo quello spessore di
terreno effettivamente esplorato dagli apparati radicali delle
colture.
La scelta delle tecniche di applicazione dei fertilizzanti è
condizionata a livello di ottimizzazione delle operazioni da
diversi fattori fra cui:
- caratteristiche
chimiche dell'elemento e/o degli elementi nutritivi da applicare
nei confronti del suolo e/o dell'apparato radicale (es.: modalità,
immobilizzazione, indici di salinità, ecc.);
- natura
fisica del prodotto fertilizzante (solido, liquido, gassoso);
- concentrazione
in elementi nutritivi del prodotto fertilizzante;
- esigenze
della coltura nelle sue diverse fasi di sviluppo (richiesta totale
di elementi nutritivi, possibilità o utilità del
loro frazionamento, periodi ottimali di fornitura degli elementi
nutritivi in funzione anche dei periodi possibili di intervento);
- caratteristiche
chimiche e fisiche del terreno;
- andamento
climatico prevalente;
- costo
economico globale dell'operazione di fertilizzazione (stoccaggio,
trasporto, manipolazione, applicazione al terreno, costo dei
prodotti).
Indipendentemente
dalle soluzioni tecniche adottate e dalle caratteristiche fisiche
dei fertilizzanti da distribuire, in special modo stato fisico
e contenuto in elementi fertilizzanti per unità di peso
o di volume, il sistema di applicazione prescelto deve essere
in grado di distribuire il fertilizzante con efficiente uniformità
e regolarità sia lungo la direzione di avanzamento della
macchina (uniformità di distribuzione longitudinale) che
in senso perpendicolare ad esso (uniformità di distribuzione
trasversale).
I sistemi di controllo della dose di fertilizzante da applicare
devono essere tali da assicurare una costanza di applicazione
su tutto l'appezzamento da trattare. Al fine di evitare dispersioni
inutili, negative dal punto di vista ambientale ed economico,
particolare cura dovrà essere posta nelle operazioni di
concimazione di appezzamenti confinanti con fossi di scolo od
altre opere facenti parte di reti idriche ed in prossimità
delle capezzagne.
Azioni
Per
l'applicazione dei concimi (minerali, organici, organo-minerali)
le macchine impiegabili si differenziano in funzione dello stato
fisico dei concimi da distribuire.
Per i concimi solidi è di notevole importanza per la regolarità
del dosaggio la forma fisica, polvere o granuli e per questi
ultimi la omogeneità granulometrica e la conformazione
dei granuli. Minore è la difformità granulometrica
e più tondeggiante la forma dei granuli, minori inconvenienti
si hanno nella regolarità dei sistemi di dosaggio.
Per l'applicazione di concimi solidi su tutta la superficie del
terreno le macchine esistenti sul mercato sono dei seguenti tipi:
- spandiconcime
per reazione centrifuga a dischi (uno o più) o a tubo
oscillante;
- spandiconcime
per gravità o distribuzione lineare;
- spandiconcime
con distribuzione a trasporto pneumatico.
Dato
il costo e la semplicità costruttiva, gli spandiconcime
attualmente più diffusi in Italia sono quelli centrifughi.
La regolarità di distribuzione, in tali macchine, è
influenzata dalla omogeneità della granulometria del prodotto,
dal suo diametro medio e dalle caratteristiche del terreno. L'accidentalità
e la zollosità del terreno, determinando fenomeni di ondeggiamento,
influiscono sulla dinamica di lancio del granulo e quindi sulla
larghezza di lavoro con conseguenti sovraddosaggi e dispersioni
di concime; pertanto È consigliabile ridurre la zollosità
del terreno prima dell'intervento di concimazione. La presenza
di vento e la sua direzione incidono sulla distribuzione specie
in caso di concimi polverulenti.
Gli spandiconcime pneumatici sono quelli che assicurano la massima
regolarità di distribuzione.
L'interramento del concime distribuito su tutta la superficie
avviene generalmente attraverso le lavorazioni del terreno.
Per quanto riguarda i concimi azotati l'interramento non è
consigliabile salvo che per concimi ammoniacali od ureici in
caso di terreni a reazione alcalina. In tali casi l'interramento
del concime evita le possibili perdite gassose di ammoniaca.
La distribuzione localizzata in superficie si realizza seguendo
due tecniche principali: la localizzazione in banda e la localizzazione
in linea.
La prima consiste nell'applicare il concime in bande di larghezza
variabile. Essa è generalmente usata nelle colture arboree.
Tale tipo di distribuzione può essere realizzata anche
modificando opportunamente i normali spandiconcime centrifughi.
La seconda consiste nel collocare il concime in una striscia
della larghezza di alcuni centimetri tra le file delle piante.
Tale tecnica è particolarmente seguita nella concimazione
azotata di copertura del mais. La macchina più idonea,
per garantire una uniformità di distribuzione, È
lo spandiconcime a distribuzione pneumatica.
L'interramento del concime con la tecnica della concimazione
localizzata viene normalmente ottenuto impiegando spandiconcimi
sussidiari alle attrezzature per la semina o per la sarchiatura.
Principio fondamentale di questa tecnica è quello di fornire
in loco e quindi con alto gradiente di concentrazione, gli elementi
nutritivi necessari. Tale tecnica consente un risparmio di unità
fertilizzante e la riduzione dei rischi di perdite per lisciviazione.
Nella localizzazione alla semina è opportuno utilizzare
concime a basso indice di salinità al fine di evitare
danni al seme specie se la localizzazione del concime avviene
troppo vicino al seme stesso.
Per i concimi liquidi le tecniche di applicazione sono fondamentalmente
le stesse. I sistemi di applicazione differiscono in questo caso
in funzione dello stato fisico del concime liquido e cioè
del fatto che si impieghi una soluzione o una sospensione. In
ogni caso le macchine utilizzate devono assicurare una buona
uniformità di distribuzione sul terreno e una ridotta
polverizzazione del liquido. In linea generale è consigliabile
l'impiego di macchine dotate di un sistema di regolazione con
distribuzione proporzionale alla velocità di avanzamento,
in grado di operare con pressioni di esercizio limitate e con
elevata portata.
La distribuzione dei concimi liquidi in linea di principio avviene
con macchine simili alle irroratrici a barra utilizzate per i
trattamenti fitosanitari.
Nel caso di concimazioni di copertura è opportuno utilizzare
ugelli a più getti rettilinei al fine di limitare al massimo
la polverizzazione del liquido e favorirne il gocciolamento a
terra.
Nel caso delle sospensioni, impiegate principalmente per le concimazioni
di fondo, le macchine utilizzate devono presentare particolari
accorgimenti quali pompe di tipo centrifugo, sistemi di filtrazione,
sistemi di agitazione della massa del concime, tubazioni di grande
diametro, sistemi di riciclo per evitare fenomeni di deposito.
Per la distribuzione delle sospensioni è consigliabile
utilizzare ugelli a specchio con elevato angolo di distribuzione
e portate sostenute.
Particolare precauzione va posta per il recupero delle acque
di lavaggio della macchina a fine giornata di lavoro evitandone
lo scarico diretto nei fossi di scolo o nelle acque superficiali.
Per la distribuzione localizzata in superficie, da impiegarsi
su colture sarchiate, si utilizzano le stesse macchine con gocciolatori
sistemati a livello dell'interfilare della coltura in modo da
consentire il gocciolamento della soluzione o della sospensione
a opportuna distanza dalle piante.
Per la distribuzione localizzata con interramento si utilizzano
macchine abbinate alle seminatrici. Esse sono costituite, oltre
che dal serbatoio,da una pompa volumetrica e da una serie di
assolcatori per la localizzazione della soluzione o sospensione
in prossimità della linea di semina.
Accanto alle predette modalità tradizionali di distribuzione
dei concimi esistono ulteriori tecniche tra le quali la fertirrigazione.
Per fertirrigazione si intende la distribuzione di concimi con
l'acqua di irrigazione.
Il sistema della fertirrigazione presenta vantaggi e svantaggi.
I
principali vantaggi sono:
- poca
manodopera per le operazioni di applicazione del concime;
- non
calpestamento del terreno con le macchine;
- facilità
di esatto frazionamento della concimazione azotata;
- possibilità
di intervento anche in momenti in cui il terreno non è
praticabile per la presenza della coltura.
Gli
aspetti negativi principali sono collegati a:
- limitazione
alle sole coltivazioni irrigue;
- necessità
di un impianto di irrigazione più perfezionato e costoso;
- interventi
di irrigazione non strettamente necessari ma effettuati a sola
funzione concimante;
- perdite
per dilavamento e volatilizzazione.
Tra
le concimazioni gassose l'unica che ha avuto una qualche diffusione
in Italia è quella dell'ammoniaca anidra che deve essere
applicata al terreno ad una profondità compresa fra 15
e 20cm in funzione delle caratteristiche del suolo (tessitura
e umidità).
L'ammoniaca passa dalla fase liquida a quella gassosa all'uscita
dei tubi adduttori e viene successivamente fissata dal terreno.
Se il terreno non si trova nelle condizioni ottimali, e risulta
o troppo secco o troppo umido, i solchi scavati dai denti iniettori
rimangono parzialmente aperti con conseguenti possibili perdite
di ammoniaca gassosa. Analoghe perdite si possono verificare
quando il conduttore della macchina solleva i denti iniettori
(es. a fine campo) o nelle curve.
Per la necessità di iniezione dell'ammoniaca nel terreno
la capacità di lavoro di queste macchine è relativamente
contenuta.
Effluenti
Zootecnici
Motivazioni
Le
tecniche di distribuzione dei reflui zootecnici hanno una rilevante
influenza tanto nell'impatto ambientale quanto nell'efficienza
produttiva. Da esse dipende infatti il manifestarsi di alcuni
problemi connessi allo spandimento e la loro entità.
Lo spandimento dei liquami viene effettuato di norma in superficie
mediante serbatoi trainati o semoventi, per lo più in
pressione, utilizzati sia per il trasporto che per la distribuzione.
La distribuzione con i criteri convenzionali comporta oltre ad
una scarsa omogeneità emissioni di ammoniaca e di altre
molecole responsabili della produzione di odori, sia a causa
della polverizzazione del getto che si verifica con i comuni
dispositivi di distribuzione, sia soprattutto a causa della permanenza
dei liquami sul terreno.
Infatti le emissioni si verificano in prevalenza nel periodo
immediatamente successivo alla distribuzione e le perdite di
ammoniaca nelle ore successive allo spandimento possono raggiungere
anche l'80% degli apporti.
Inoltre alcuni dispositivi utilizzati, quali i getti irrigatori
alimentati ad alta pressione, provocano una spinta polverizzazione
del getto, con formazione di aerosol e conseguente rischio di
veicolazione di microorganismi patogeni. Qualora nella distribuzione
dei liquami si utilizzino mezzi di elevata capacità al
fine di ridurre i costi di spandimento, l'impiego di tali mezzi
può determinare danni alla struttura del terreno.
Infine la somministrazione dei liquami in copertura con la tecnica
a pioggia, in particolare nel caso dei reflui ad elevato contenuto
di sostanza secca, può comportare l'imbrattamento delle
colture, con effetti ustionanti e di depressione delle rese.
Azioni
Al
fine di evitare o comunque ridurre gli inconvenienti sopra considerati
è opportuno, ove possibile, introdurre tecniche innovative
di distribuzione quali:
a) la separazione delle fasi di trasporto e di spandimento dei
liquami;
b) l'interramento mediante dispositivi iniettori;
c) la distribuzione in superficie con dispositivi a bassa pressione.
a) Separazione
delle fasi di trasporto e di spandimento dei liquami
La
separazione delle fasi di trasporto e di distribuzione limita
sostanzialmente il compattamento del suolo e permette l'intervento
su terreno lavorato, in prossimità della semina e con
colture in atto, cioè in periodi nei quali la somministrazione
dei liquami consegue le più elevate efficienze produttive.
Inoltre, l'adozione di soluzioni tecniche diverse per le due
fasi di trasporto e spandimento può portare a riduzioni
consistenti dei costi di gestione.
Al fine di ridurre gli oneri, il trasporto può essere
effettuato su ruote, utilizzando macchine operatrici di elevata
capacità o, in alternativa, mediante tubazione. Per quanto
riguarda il trasporto su ruote possono essere impiegate cisterne
a pressione atmosferica di capacità complessiva fino a
35 m3 che possono essere utilizzate per alimentare stoccaggi
opportunamente collocati sui terreni aziendali. Nel trasporto
in condotta, l'adozione di linee di adduzione di piccolo diametro
alimentate in pressione consente di ridurre sostanzialmente i
costi di investimento.
Nella fase di distribuzione il ricorso a tubazioni avvolgibili
che alimentano dispositivi per lo spandimento superficiale o
per l'interramento riduce sostanzialmente il compattamento del
suolo in fase di spandimento. L'adozione di tale sistema risulta
particolarmente opportuna negli interventi primaverili, nel corso
delle operazioni di preparazione delle semine o con colture in
atto. Esso consente inoltre una notevole riduzione della potenza
richiesta in fase di distribuzione: nel caso in cui si effettui
l'interramento diretto del liquame è possibile, ad esempio,
limitare le forze di trazione a quelle necessarie alla movimentazione
degli iniettori. Una alternativa alle tubazioni avvolgibili per
le somministrazioni su terreno nudo e su prato è il cosiddetto
sistema ombelicale, nel quale il collegamento tra lo stoccaggio
e il dispositivo distributore avviene mediante una tubazione
flessibile e resistente all'abrasione.
b) Interramento
L'adozione
di dispositivi iniettori che incorporano i liquami al terreno
all'atto della distribuzione consente di limitare sostanzialmente
le emissioni di odori e di ammoniaca che si verificano nel corso
dello spandimento dei liquami. Risultati delle ormai numerose
determinazioni effettuate hanno infatti evidenziato che, per
questa via, le perdite di azoto ammoniacale si riducono a percentuali
comprese, nella maggior parte dei casi, entro il 5% del totale
apportato. Mediante l'interramento si conseguono altri risultati
quali:
- assenza
di formazione di aerosol durante la distribuzione;
- eliminazione
dello scorrimento superficiale;
- eliminazione
della possibilità di contaminazione dei foraggi per le
applicazioni su prato.
I
dispositivi per l'interramento dei liquami possono essere installati
su un serbatoio, o in alternativa, essere alimentati da tubazioni
avvolgibili e trainati da trattore. Per l'apertura del solco
vengono utilizzati dischi, zappette, assolcatori ad ancora, posteriormente
ai quali pervengono tubi di adduzione dei liquami. I dispositivi
di interramento devono avere caratteristiche diverse a seconda
che vengano utilizzati su terreno arativo o su prato.
I principali limiti dell'interramento diretto dei liquami rispetto
alla distribuzione superficiale sono l'elevata potenza richiesta
e la ridotta capacità di lavoro, che determinano incrementi
dei costi di spandimento compresi tra il 50% e il 100%.
Se è vero che l'interramento comporta maggiori oneri rispetto
alla distribuzione superficiale, per contro, riducendo le perdite
di ammoniaca, permette migliori risultati produttivi rispetto
a quest'ultima. Una soluzione alternativa all'interramento è
rappresentata dalla lavorazione del terreno eseguita entro 3-5
ore dallo spandimento.
c) Distribuzione
in superficie con dispositivi a bassa pressione
La
distribuzione con dispositivi a bassa pressione (2-3 atmosfere)
consente di evitare la polverizzazione spinta del getto, riducendo
i problemi di diffusione di odori, perdite di ammoniaca e formazione
di aerosol, migliorando nel contempo la omogeneità di
distribuzione.
Tali problemi infatti risultano assai contenuti adottando ali
distributrici a bassa pressione, disponibili per l'installazione
su serbatoio o su tubazione avvolgibile. La distribuzione avviene
sia attraverso ugelli dotati di piatto deviatore rompigetto sia
mediante ugelli dotati di tubazioni mobili che depositano i liquami
al livello del suolo. Quest'ultima soluzione è adatta
solo allo spandimento di liquami chiarificati, in quanto la numerosità
degli ugelli e il loro piccolo diametro comportano possibilità
di intasamenti con materiali ad elevato contenuto di sostanza
secca. Una variante del dispositivo in grado di assicurare una
distribuzione omogenea e non in file è rappresentata dalla
presenza di un deflettore, all'uscita delle tubazioni flessibili,
che provvede a laminare il prodotto.
d) Distribuzione
con tecniche convenzionali
Qualora
si adottino invece tecniche convenzionali di spandimento mediante
serbatoio, ad esempio negli interventi post-raccolta sulle colture
annuali e per le somministrazioni su prato, è opportuno
far ricorso ad alcuni accorgimenti per ridurre i danni di compattamento
del terreno ed in particolare:
- attenzione
alle condizioni di umidità del terreno;
- adozione
di mezzi di capacità contenuta al fine di limitare il
peso delle macchine operatrici a non pi? di 10 t a pieno carico
e a pesi per assale non superiori alle 5-6 t;
- adozione
di pneumatici larghi e a bassa pressione;
- adottare
la maggiore ampiezza possibile di lavoro, in modo da limitare
il numero dei passaggi e quindi la superficie sottoposta a calpestamento,
anche se ciÒ potrà andare a scapito della omogeneità
di distribuzione.
Qualora
non sussistano rischi di compattamento si potrà perseguire
l'obiettivo della buona omogeneità di distribuzione evitando
il ricorso al getto irrigatore e operando con ampiezza di lavoro
del piatto deviatore inferiore a quella massima tecnicamente
consentita.
" inoltre necessario adottare accorgimenti per meglio regolare
la dose applicata; in assenza di dispositivi specifici per questa
funzione è possibile conseguire buoni risultati variando
la velocità di avanzamento del mezzo.
Casi particolari
Applicazione
dei fertilizzanti in terreni in pendenza
Motivazioni
Per
una corretta applicazione di fertilizzanti in terreni in pendenza
si deve tenere conto in primo luogo dei rischi di ruscellamento
idrico superficiale che dipende principalmente da:
- pendenza
del suolo
- caratteristiche
del suolo
- tipo
di paesaggio
- sistema
colturale
- condizioni
climatiche.
La
presenza di vari fattori e le loro interazioni nel sistema suolo-acqua-pianta-clima
rendono difficile la scelta delle tecniche da mettere in atto.
L'adozione di una tecnica volta a risolvere un problema può
collateralmente aggravarne o crearne un altro, si possono generare
dei contrasti tra diverse tecniche, vi possono essere situazioni
incontrollabili, come per esempio:
a) le tecniche di contenimento dell'erosione possono risolvere
i problemi dell'inquinamento da N e P, sebbene il loro effetto
sia maggiore nei confronti delle perdite nei materiali erosi
piuttosto che quelle nell'acqua di ruscellamento, ma non hanno
alcun effetto sulla percolazione dei nitrati e talvolta possono
persino aggravarla;
b) le lavorazioni ridotte mantengono i residui in superficie
per ridurre l'erosione e conservare il suolo, ma ostacolano l'incorporamento
dei fertilizzanti nel terreno auspicabile per aumentarne l'efficienza
produttiva e ridurne le perdite nelle acque superficiali;
c) l'inquinamento delle acque per ruscellamento superficiale
può difficilmente essere prevenuto in caso di nubifragio
e con tale tipo di evento non ci sono molte differenze se erano
stati somministrati concimi chimici o effluenti zootecnici.
Azioni
Le
perdite di elemento nutritivo sono particolarmente elevate se
il ruscellamento avviene poco dopo la somministrazione dei fertilizzanti;
l'interramento è particolarmente importante per gli effluenti
zootecnici che per la loro costituzione fisica tendono a rimanere
in superficie; una rapida incorporazione nel terreno può
ridurre le perdite per ruscellamento da un campo concimato allo
stesso livello di un campo non concimato.
Poiché il rischio di erosione è difforme durante
l'anno, intervenire quando tale rischio è minore, per
esempio se l'erosione risulta elevata in autunno, evitare di
arare a fine estate o in autunno, e non somministrare fertilizzanti.
Evitare somministrazioni in periodi di probabile ruscellamento,
se non si può provvedere all'interramento; per i prati,
per i pascoli e per i terreni sodi in genere, questo aspetto
è molto importante.
Applicazione
di fertilizzanti al terreno saturo d'acqua, inondato, gelato
o innevato
Motivazioni
Nel
terreno saturo d'acqua l'azoto nitrico viene facilmente perduto
per denitrificazione, se vi è sufficiente sostanza organica
mineralizzabile e la temperatura non è inferiore a 5 °C.
Sul terreno gelato o innevato il fertilizzante non riesce a infiltrarsi
nel terreno e rischia durante il disgelo di essere trasportato
per ruscellamento superficiale, soprattutto nei terreni in pendio.
Azioni
La
distribuzione di fertilizzante azotato in terreni saturi d'acqua
in inverno sarebbe di scarsa utilità in quanto una parte
rilevante ne verrebbe perduta per denitrificazione.
Nell'eventualità di eccesso idrico durante il ciclo vegetativo
delle colture è opportuno effettuare la fertilizzazione
non appena lo stato idrologico del terreno sarà ritornato
normale.
In condizioni di terreno gelato per tutte le 24 ore del giorno,
oppure coperto di neve, la fertilizzazione è da evitare.
Tuttavia sul terreno che rimane gelato soltanto nelle ore più
fredde della giornata, la fertilizzazione con dosi molto basse
di concimi azotati o di liquami (non troppo densi) può
essere effettuata per i cereali vernini.
Applicazione
di fertilizzanti ai terreni adiacenti ai corsi d'acqua
Motivazioni
L'adozione
di particolari cautele e di tecniche idonee nell'applicazione
di fertilizzanti, minerali ed organici, sugli appezzamenti di
terreno contigui ai corsi d'acqua, consente di limitare al minimo
i rischi di eutrofizzazione dei corpi idrici superficiali dovuti
all'apporto di nitrati. Secondo le tavolette in scala 1:25.000
dell'IGM vengono definiti corsi d'acqua fiumi, torrenti o fossi
in ordine decrescente d'importanza.
In particolare, poiché i nitrati risultano presenti per
la maggior parte nella soluzione del suolo e in quota minima
sono debolmente adsorbiti, il passaggio diretto o indiretto,
nei corpi idrici avviene principalmente per effetto dello scorrimento
in superficie e per dilavamento sub-superficiale.
Tale passaggio risulta tanto più veloce quanto più
intenso è l'apporto di fertilizzante e quanto minori sono
i fattori che ostacolano il deflusso dei nitrati verso la rete
scolante.
In relazione a ciò le regole per una corretta applicazione
dei fertilizzanti in prossimità di corsi d'acqua, naturali
ed artificiali, riguardano in primo luogo le modalità
con cui avviene l'applicazione stessa (quantità, epoche,
tipo di fertilizzante, grado di frazionamento, ecc.) ma interessano
anche altri fattori agronomici in grado di influenzare - accelerando
o rallentando - il passaggio dei nitrati nei corpi idrici superficiali
(es. presenza di colture di copertura, di siepi ripariali, ecc.).
Va infine considerata la possibilità che suoli adiacenti
ai corsi d'acqua siano soggetti a periodiche esondazioni.
Azioni
Le
buone pratiche agricole da adottare nell'ambito di una corretta
applicazione di fertilizzanti su terreni contigui ai corsi d'acqua
interferiscono con i seguenti meccanismi:
- riduzione
della disponibilità di sostanze nutrienti in soluzione
e adsorbite sulle particelle di terreno;
- creazione
di fasce di interposizione che rallentino il flusso verso il
recapito delle acque di scolo superficiali e sottosuperficiali;
- riduzione
della velocità del deflusso idrico superficiale attraverso
l'aumento della scabrezza del terreno e della capacità
di invaso superficiale, nonché diminuzione della pendenza
superficiale.
Per
le modalità di somministrazione dei fertilizzanti occorre
attenersi ai criteri enunciati in precedenza (vedi Applicazione
dei fertilizzanti), tenendo comunque presente che in tali terreni
il rischio è più accentuato. Di conseguenza le
applicazioni dovranno essere possibilmente frazionate mentre
si dovrà evitare la somministrazione di concimi in corrispondenza
dei periodi piovosi.
Particolarmente utile per tali appezzamenti, ai fini del contenimento
dei processi di dilavamento, è l'effettuazione di colture
di copertura durante il periodo invernale (vedi Gestione dell'uso
del terreno) o la conservazione dei residui vegetali sulla superficie
del terreno stesso.
In particolare si dovrà prevedere il mantenimento di una
fascia perennemente inerbita - sottoposta periodicamente a sfalcio
- lungo il corso d'acqua per una larghezza tanto maggiore quanto
minore è la pendenza delle sponde; su tali fasce di rispetto,
che corrispondono alle superfici più frequentemente soggette
ad esondazione, dovrà essere evitata la somministrazione
di liquami e di concimi minerali.
Le pratiche di concimazione dovranno altresì favorire
l'apporto di sostanza organica e quindi la formazione di humus
stabile, allo scopo di migliorare la struttura del terreno con
conseguente minore compattazione e più ridotto grado di
ruscellamento.
Accanto alle pratiche colturali più direttamente connesse
alla fase di somministrazione dei fertilizzanti rivestono grande
importanza, ai fini della limitazione dei rischi di dilavamento
negli appezzamenti contigui ai corsi d'acqua, le sistemazioni
idraulico-agrarie e la presenza o meno di siepi campestri.
In tal senso sono da favorire sistemazioni di piano che prevedano
ridotta baulatura e falde di lunghezza contenuta, compatibilmente
con le necessità di allontanamento delle acque in eccesso;
infine, la conservazione o l'introduzione, laddove possibile,
di siepi campestri lungo i corsi d'acqua è una pratica
da favorire per proteggere le rive dall'erosione e per aumentare
l'effetto di interposizione al flusso di elementi nutritivi verso
la rete scolante.
Gestione dell'uso del terreno
"
possibile ridurre le perdite indesiderate di nitrati per percolazione
mediante un'appropriata gestione dell'uso del terreno.
Le linee operative possibili vanno dalla adozione di avvicendamenti
colturali che non lascino il terreno scoperto a lungo, all'interramento
dei residui colturali pagliosi ed alla corretta gestione delle
lavorazioni del terreno.
Avvicendamenti
Motivazioni
In
linea di principio l'adozione di opportuni avvicendamenti deve
assicurare un certo livello di sostanza organica nel terreno
al fine di ridurre gli apporti azotati. Quando passa molto tempo
tra la raccolta di una coltura e la semina di quella successiva
l'azoto solubile esistente nel terreno è esposto ad essere
dilavato dalle piogge. I periodi più critici per la percolazione
sono quelli in cui le precipitazioni sono tanto abbondanti da
superare la capacità di ritenzione idrica del terreno
e quindi tali da far percolare i sali azotati solubili in profondità
fino agli acquiferi.
La presenza di specie leguminose nella rotazione non è
scevra da inconvenienti per quanto riguarda la tutela degli acquiferi.
L'azoto fissato da un sistema simbiotico leguminosa - Bacillus
radicicola entra a far parte dello stock di azoto del terreno
e subisce lo stesso destino dell'azoto proveniente da altre fonti,
tra cui quello di essere nitrificato e percolato.
Tutti i residui colturali che contengono poco azoto (rapporto
C/N alto: >40-50) hanno l'interessante prerogativa, una volta
incorporati nel terreno ed entrati nel ciclo della decomposizione
ed umificazione, di prelevare l'azoto solubile presente ed utilizzarlo
nel metabolismo degli organismi decompositori.
L'interramento della paglia dei cereali e di altri residui pagliosi
(stocchi di mais e di sorgo, steli di colza e girasole, ecc.)
è una pratica di grande efficacia antilisciviazione.
Azioni
"
consigliabile evitare monosuccessioni o successioni di colture
primaverili-estive che lasciano il terreno privo di copertura
vegetale dall'autunno alla primavera (es. mais in monosuccessione,
successione mais-soia, ecc.).
Le rotazioni colturali più rispondenti al fine di ridurre
le perdite per percolazione sono quelle che assicurano la copertura
del terreno durante la stagione piovosa: i cereali vernini innanzitutto,
in monosuccessione o, meglio, in rotazione con altre colture
autunno-vernine (es.: colza, erbai di graminacee o di crucifere,
cartamo, ecc.).
Occorre porre particolare attenzione alla rotazione colturale
che include una specie leguminosa in quanto è necessario
far seguire ad una leguminosa una specie in grado di utilizzare
l'azoto fissato.
In ogni caso l'avvicendamento delle colture deve essere programmato
al fine di ottimizzare l'utilizzazione dell'azoto solubile residuo
dalla coltura precedente e di quello mineralizzato della sostanza
organica.
Una misura atta a contenere la percolazione dei nitrati È
quella di assicurare, nel periodo più critico, la presenza
di una copertura vegetale attiva nell'assorbire e assimilare
i nitrati sottraendoli così al dilavamento.
L'interramento dei residui pagliosi può comportare che
100 kg di paglia di frumento intercettino oltre 1 kg di N solubile,
che così è sottratto alla possibile percolazione.
Mantenimento
della copertura vegetale
Motivazioni
La
presenza di una copertura vegetale impedisce un accumulo di nitrati
grazie al loro assorbimento da parte delle radici. Oltre ad intecettare
i nitrati naturalmente presenti nel suolo o apportati con le
fertilizzazioni, la copertura vegetale può assicurare
una protezione delle acque sotterranee nei confronti di quelli
di origine extragricola. Particolare importanza viene assunta
dalla copertura vegetale nelle superfici temporaneamente ritirate
dalla produzione ai sensi della normativa comunitaria.
Azioni
Le
coperture vegetali potenzialmente realizzabili sono le seguenti:
- vegetazione
spontanea: l'inerbimento naturale che si produce in fine estate-autunno
dopo la raccolta delle colture dovrebbe essere visto molto positivamente
nelle zone a rischio, come mezzo per contrastare la percolazione
dei nitrati; quindi non dovrebbe essere ostacolato con lavorazioni,
ma lasciato svolgere la sua funzione quanto più a lungo
possibile, compatibilmente con le esigenze di preparazione del
terreno per la coltura che seguirà; l'inerbimento spontaneo
potrebbe trarre utile applicazione sulle superfici temporaneamente
ritirate dalla produzione (set-aside);
- colture
intercalari: l'inserimento, ogni volta che sia possibile, di
colture intercalari tra la raccolta della coltura precedente
e la semina di quella successiva è una misura di notevole
efficacia antidilavamento; tali colture intercalari possono configurarsi
come colture foraggere (erbai), colture ortensi o anche colture
di interesse apistico (es. Phacelia) o igienizzante (specie nematocide
e nematofughe);
- colture
di copertura (ìcatch cropsî): si tratta di colture
intercalari senza finalizzazione utilitaristica, ma unicamente
finalizzate ad intercettare l'azoto solubile; in altre parole
si tratta di realizzare un inerbimento controllato seminando
specie vegetali capaci di nascere e crescere durante i periodi
critici per il dilavamento dei nitrati; la biomassa vegetale
prodotta sarà poi sovesciata in tempo utile per la semina
della successiva coltura prevista dalla rotazione.
Le
specie da considerare idonee a questa funzione dovrebbero soddisfare
le seguenti condizioni:
- avere
basse esigenze termiche in modo da poter crescere nel periodo
autunno-inverno;
- avere
seme poco costoso, reperibile e di facile emergenza;
- essere
dotate di scarsa capacità infestante;
- essere
consumatrici di azoto (con esclusione quindi delle leguminose);
- non
creare problemi fitosanitari o di infestazione alla coltura che
seguirà.
Le
famiglie botaniche più rispondenti a questo modello sono
le graminacee, le crucifere, le composite e le chenopodiacee.
Per tutte le famiglie sopraindicate la tecnica colturale che
appare consigliabile tecnicamente ed economicamente è
la seguente.
Preparazione del terreno con la tecnica della lavorazione minima
(erpicatura).
Semina a spaglio con abbondanza di seme alle prime piogge di
fine estate e interramento con erpice.
Concimazione: nessuna.
Interramento: all'uscita dall'inverno, mediante aratura a media
profondità (0,20-0,25 cm), comunque prima che le piante
disseminino.
Lavorazioni
e struttura del terreno
Motivazioni
Nell'ambito
delle lavorazioni principali, la tradizionale aratura e, all'opposto,
la non lavorazione o l'inerbimento del terreno sembrano essere
le tecniche maggiormente in grado di determinare nel tempo più
o meno consistenti modificazioni dell'ambiente pedologico.
Le lavorazioni hanno effetti profondi ed evidenti, anche se più
o meno duraturi, sulla struttura del suolo, coinvolgendo i molteplici
fattori che la influenzano.
Le lavorazioni profonde causano la distribuzione delle sostanze
organiche in tutto lo spessore interessato; viene così
ridotto il livello umico nello strato più superficiale
e, in complesso, viene aumentata la velocità di mineralizzazione;
aumenta quindi la produzione di azoto nitrico, utile per la nutrizione
delle piante, ma anche potenzialmente lisciviabile.
Nelle colture arative le lavorazioni determinano a lungo termine
abbassamenti del livello di sostanza organica con tendenza verso
un punto di equilibrio più basso di quello iniziale; nel
caso del passaggio da prato stabile a seminativo, il calo della
sostanza organica può essere più rapido; letamazioni
e interramenti di residui tendono a innalzare il livello di sostanza
organica, ma in tempi comunque lunghi e dove l'effetto inverso
delle lavorazioni non annulli gli incrementi. Al di sotto di
livelli critici di sostanza organica, sono possibili effetti
negativi sulla struttura e/o sulla fertilità attuale e
potenziale.
Le lavorazioni principale e secondaria del terreno causano variazioni
di porosità che non sono uniformi nel profilo né,
tanto meno, interessano indifferentemente i pori di tutte le
dimensioni.
L'aumento di porosità interessa soltanto lo strato lavorato,
dove si incrementano i pori di dimensioni maggiori e praticamente
restano invariati quelli di dimensioni minori. Tale macroporosità
creata dalle lavorazioni è nel tempo soggetta a diminuzioni,
la cui intensità è funzione del tipo di suolo,
degli agenti meteorici e delle pratiche colturali.
La non lavorazione e l'inerbimento se, da un lato, favoriscono
entrambe il mantenimento o la crescita del contenuto di sostanza
organica del terreno, dall'altro lato, singolarmente prese hanno
effetti opposti sulla ripartizione dell'acqua tra ruscellamento
e infiltrazione: la non lavorazione favorisce il primo, l'inerbimento
facilita la seconda.
Con queste pratiche colturali conservative, la macroporosità
è ridotta al minimo, salvo il caso di terreni soggetti
al crepacciamento. Riguardo alla capacità del terreno
a trattenere l'acqua, i macropori hanno un ruolo di serbatoio
transitorio, utile per evitare il ruscellamento e favorire l'infiltrazione;
l'acqua è invece trattenuta più stabilmente nei
micropori che sono pertanto importanti nel sottrarre l'acqua
alla percolazione, mettendola poi a disposizione delle piante.
Azioni
L'inerbimento
è particolarmente efficace sui terreni in pendenza nel
ridurre il ruscellamento superficiale e, di consequenza, l'apporto
di nitrati nelle acque dei corpi idrici di superficie. Inoltre,
il terreno ha una minore potenzialità di lasciare percolare
l'acqua a causa della sua maggiore capacità di immagazzinamento,
conseguenza del consumo idrico del manto erboso.
"
ormai sufficientemente assodato che è possibile diminuire
l'intensità delle lavorazioni del terreno (profondità,
numero e tipo) senza riduzione della produzione delle colture
in numerose situazioni pedoclimatiche. La natura del terreno
è l'elemento determinante la decisione sull'opportunità
di una lavorazione principale. Su terreni massivi per caratteristiche
di tessitura, quali quelli limosi o anche limoso sabbiosi, oppure
in quelli asfittici perché di cattiva struttura, saranno
necessari interventi più frequenti con lavorazioni atte
a creare macroporosità. L'opportunità di fare lavorazioni
può derivare dalla necessità di interrare residui
colturali o materiali organici, oppure dall'esigenza di pareggiare
il terreno sul quale siano rimaste tracce marcate di passaggio
di macchine. Va comunque tenuto presente che, nella maggioranza
dei casi, non appare opportuno fare lavorazioni principali di
una certa consistenza tutti gli anni e per tutte le colture.
Per esempio, può non essere necessaria l'aratura dopo
la bietola che sarà seguita dal frumento; dopo le colture
da rinnovo l'aratura eseguita post-raccolta specie su terreno
argilloso e umido produce effetti negativi.
Le lavorazioni secondarie che riguardano la preparazione del
letto di semina devono tenere conto delle diverse esigenze delle
colture, ma senza sminuzzare troppo in anticipo il terreno per
evitare la formazione di croste superficiali. Inoltre, si stanno
sempre più diffondendo seminatrici capaci di operare su
terreni anche compatti.
Nel caso in cui le piogge autunnali o primaverili ostacolino
le lavorazioni in presemina, può essere opportuna una
semina su sodo.
Per il contenimento delle malerbe, le lavorazioni possono
essere sostituite da operazioni di diserbo effettuate con conveniente
anticipo sulla semina e con prodotti di cui sia ampiamente dimostrata
la compatibilità ambientale.
Sistemazioni
Motivazioni
Scopi
delle sistemazioni idraulico-agrarie dei terreni coltivati sono,
tradizionalmente, quello di ridurre il ruscellamento superficiale
nei terreni declivi e quello di assicurare la evacuazione delle
acque saturanti nei terreni piani.
Nel primo caso lo scopo si persegue con affossature che frenano
il ruscellamento, nel secondo caso con un sistema di drenaggio
sotterraneo o, più comunemente, con affossature a cielo
aperto.
" nei terreni di pianura che la sistemazione idraulico-agraria
fa conseguire importanti benefici ambientali oltreché
agronomici: il rapido smaltimento idrico conseguente alla sistemazione
fa sì che l'acqua gravitazionale con i nitrati in soluzione
ha meno tempo per percolare verso la falda trovando vie di più
rapida evacuazione nella rete di fossi o dreni che la convogliano
nella rete idrologica superficiale.
Azioni
Nelle
aree vulnerabili, le sistemazioni di pianura vanno incoraggiate
al massimo, in quanto consentono anche la protezione delle acque
profonde.
Vanno previsti fossi o dreni razionalmente disposti, specie per
quanto riguarda la distanza, la quale dovrà essere stabilita
in funzione delle caratteristiche tessiturali e strutturali del
terreno e pluviometriche del sito. Molto utile ad accelerare
l'evacuazione delle acque saturanti superficiali verso le affossature
risulta la ìbaulaturaî dei campi.
Per contenere l'erosione vanno auspicate le sistemazioni collinari
classiche, che hanno svolto in passato un ruolo fondamentale
e conservano tuttora piena validità tecnica, ma oggi sono
spesso trascurate o abbandonate per motivi economici e di gestione
aziendale; le tecniche alternative più semplici e meno
costose oggi disponibili (non lavorazione o lavorazione minima,
pacciamatura, inerbimento parziale o totale, diserbo chimico
parziale o totale) sono caratterizzate da differenti livelli
di contenimento dell'erosione e delle perdite di elementi nutritivi
e pertanto vanno scelte e calibrate in relazione alla singola
situazione reale.
Gestione dell'allevamento
La
produzione di effluenti zootecnici da parte del bestiame allevato
è la conseguenza della normale attività biologica;
essa dipende dalla efficienza con la quale l'organismo animale
trasforma gli alimenti ingeriti.
Vi è stato in questi ultimi decenni un consistente miglioramento
nell'efficienza degli organismi animali allevati, per effetto
della selezione e della migliore conoscenza da parte degli allevatori
delle tecniche di allevamento e di alimentazione.
La composizione degli effluenti zootecnici è variabile
in dipendenza della specie allevata, delle tecniche di allevamento,
delle modalità di raccolta e manipolazione delle deiezioni.
Nell'ambito delle tecniche di allevamento si devono considerare
gli effetti dell'allevamento su lettiera di paglia di cereali
o su altri materiali, come segature di legno, torbe ecc., dell'asportazione
delle deiezioni con tecniche innovative e delle modalità
di alimentazione. In ogni caso la quantità globale di
deiezioni, di azoto, di fosforo, di potassio, di metalli e di
residui che si trovano nelle deiezioni dipende dalla differenza
fra la quota ingerita con gli alimenti e la quota di elementi
nutritivi trattenuta e trasformata in produzioni.
Per ridurre la produzione di deiezioni, in termini generali di
sostanza secca eliminata con gli effluenti zootecnici, l'intervento
più efficace è quello di rendere massima l'efficienza
con la quale funziona in generale la macchina animale.
Si tratta di rendere il più basso possibile l'indice di
conversione per qualsiasi produzione si intenda realizzare. In
pratica si deve tendere a rendere minima la quantità di
sostanza secca di alimento per unità di prodotto ottenuto
(carne, latte, lana, uova, ecc.). Questo obiettivo è perseguibile
seguendo due strade: miglioramento genetico e corretta formulazione
della dieta.
Miglioramento
genetico
Motivazioni
Il
miglioramento genetico si pone l'obiettivo di migliorare l'efficienza
della macchina animale, inteso fondamentalmente come rapporto
fra unità di prodotto (alimenti) ingerito per unità
di prodotto fornito (latte, carne, uova, ecc.) nell'unità
di tempo.
La correlazione genetica fra quantità di alimenti ingeriti
per unità di prodotto fornito e queste stesse unità
è molto prossima a meno uno.
Le ragioni di questa stretta relazione sono da ricercare nella
ripartizione dell'energia e dei elementi nutritivi ingeriti in
una quota di mantenimento e in una di produzione. Accade che
l'energia e la quota di principi nutritivi da impegnare per l'ottenimento
della quota di produzione sono difficilmente modificabili in
una dieta correttamente predisposta, mentre si può incidere
sulla quota di mantenimento necessaria per unità di prodotto.
Infatti, la quota di elementi nutritivi e di energia necessaria
per ottenere una unità di prodotto, ovvero la quota di
produzione, è relativamente costante ed indipendente dall'entità
della produzione, mentre la quota di mantenimento per unità
di prodotto dipende dall'entità della produzione. Ne deriva
che, entro i limiti del potenziale genetico, quante più
quote di prodotto si ottengono da un singolo animale allevato
tanto maggiore è l'efficienza per minore quantità
di elementi nutritivi e di energia necessari per soddisfare la
quota di mantenimento. La quota di mantenimento È funzione
del peso vivo o più correttamente del peso metabolico
degli animali. Per cui se, ad esempio, si confrontano i fabbisogni
di due vacche del peso di 600 kg con produzioni differenziate,
una di 20 kg di latte al giorno, l'altra di 40 kg di latte, con
la stessa composizione, l'energia richiesta per kg di latte prodotto
è analoga per la quota di produzione, ma l'energia richiesta
per la quota di mantenimento da attribuire a ciascun kg di latte
è doppia. I due animali di identico peso hanno le stesse
necessità di mantenimento da dividere in un diverso quantitativo
di latte. Lo stesso dicasi per le scrofe che producono più
o meno suinetti, per le ovaiole e per i maggiori o minori incrementi
degli animali in accrescimento.
Azioni
Si
può intervenire sia potenziando geneticamente l'attitudine
produttiva, sia soprattutto accrescendo il rapporto fra animali
in produzione e animali non in produzione attraverso la riduzione
dell'intervallo anteparto e di quello fra i parti e attraverso
l'allungamento della carriera produttiva.
Metodologicamente, oltre all'adozione delle modalità usuali
per i caratteri quantitativi, non vanno trascurate tecniche innovative
- trasferimento e sessaggio degli embrioni, splitting ecc.-
qualora ne sia dimostrato nella pratica attuazione, non solo
il vantaggio economico.
Formulazione
della dieta
Motivazioni
I
fattori alimentari che influiscono sull'efficienza di utilizzazione
dei componenti della dieta attengono all'apporto quantitativo
e qualitativo dei componenti gli alimenti, e soprattutto ai rapporti
fra i vari elementi nutritivi. I rapporti fra i componenti la
dieta con lo svilupparsi delle conoscenze sul metabolismo dei
principi nutritivi stanno acquisendo una importanza sempre maggiore.
Una particolare attenzione è stata posta, fino dalla fine
degli anni settanta, ai rapporti fra i componenti le frazioni
azotate. In particolare sono stati oggetto di attenzione il rapporto
fra azoto non proteico ed azoto proteico vero, i rapporti fra
gli amminoacidi componenti le proteine vere, con l'indicazione
di rapporti generici fra gli amminoacidi non essenziali e quelli
essenziali e più specificamente con la proposta di proteine
ideali, definite dal rapporto fra gli amminoacidi essenziali.
In misura maggiore o minore questo problema è stato affrontato
per tutte le specie.
A prescindere dalla mancanza di concordanza fra i vari ricercatori
nella definizione dei parametri della proteina ideale è
emersa molto chiara la constatazione che le diete che non tengono
conto di questi aspetti, comportano eccessi proteici e per di
più ridotta efficienza di utilizzazione. Nelle diete a
ridotta efficienza è maggiore la quota di azoto eliminato
con le urine; è questa la quota di azoto più facilmente
volatilizzabile e che in relazione alle condizioni di allevamento
e di utilizzo agronomico dei reflui, può raggiungere percentuali
molto rilevanti. I sistemi normalmente applicati dai formulisti
nello studio e nella ottimizzazione dei razionamenti si basano
su criteri che poco tengono in considerazione questi aspetti.
Basti pensare che, rispetto ai normali livelli di tenore proteico
utilizzati nelle diete per suini, teoricamente sarebbe possibile
ridurre l'apporto azotato di oltre il 50%, assicurando ugualmente
il soddisfacimento dei fabbisogni azotati anche in animali ad
elevato livello produttivo.
Inoltre va considerato che di norma non vengono presi in considerazione
gli effetti dei fattori che peggiorano la utilizzabilità
degli alimenti, detti fattori antinutrizionali, che agiscono
sia peggiorando la digeribilità sia aumentando, anche
in misura molto rilevante, le perdite di azoto endogeno a livello
del tubo digerente.
Queste considerazioni valgono anche per altri componenti della
dieta che possono contribuire a dare origine a residui inquinanti.
Azioni
Devono
tendere all'ottimizzazione della dieta commisurandone la composizione
ai fabbisogni. Lo si può realizzare attraverso:
a) la formulazione e l'adozione di diete appropriate in rapporto,
nell'ambito della specie, sia alle fasi biologica e fisiologica,
sia all'entità e alla qualità delle produzioni;
b) un equilibrio dei componenti azotati fra loro e con gli altri
componenti che possono agire sulla loro utilizzazione;
c) l'esclusione o la riduzione al minimo di fattori antinutrizionali;
d) l'aumento della percentuale di sostanza secca della dieta;
e) l'inclusione di sostanze che permettono di ridurre la percentuale
di azoto escreto con le urine (carboidrati a buona fermentescibilità
cecale, estratti di vegetali, alluminosilicati).
" evidente che l'allevatore in generale non sempre può
assolvere da solo alla corretta formulazione della dieta per
i suoi animali, motivo per cui è opportuno si rivolga
ai Servizi regionali di assistenza tecnica, ovvero si avvalga
dei risultati della ricerca e sperimentazione promossa e coordinata
dalla Pubblica Amministrazione.
Gestione degli effluenti di allevamento
Il
tenore in azoto delle deiezioni e la loro qualità agronomica
sono influenzati da numerosi fattori che hanno peso, alcuni,
sulla qualità escreta (condizioni di allevamento, razione
alimentare ed in particolare tenore proteico e qualità
delle proteine) ed altri sulle perdite che si verificano durante
la conservazione (tipologia degli stoccaggi, trattamenti di stabilizzazione,
di separazione dei solidi, ecc.) ed al momento e successivamente
alla distribuzione (sistemi di distribuzione ad alta e bassa
pressione, per strisciamento o interramento; presenza o assenza
di vegetazione, ecc.).
L'elevato numero di fattori interessati e le loro reciproche
interazioni rendono necessario intervenire sia sulle strutture
di allevamento che sui successivi trattamenti degli effluenti
prevedendo adeguati stoccaggi.
La diffusione di odori sgradevoli rappresenta inoltre un ulteriore
e serio condizionamento all'impiego, quali fertilizzanti, dei
reflui zootecnici soprattutto se questi possono interessare terreni
agricoli in prossimità di zone abitate.
Strutture
dell'allevamento
Motivazioni
Sia
negli insediamenti esistenti che soprattutto in quelli di nuova
impostazione si dovrà considerare l'opportunità
di adottare soluzioni d'allevamento in grado di migliorare sia
la qualità dell'ambiente interno, sia le caratteristiche
dei reflui ai fini dell'utilizzo agronomico.
Gli effluenti, infatti, in funzione della tipologia del ricovero
(e del management) possono essere:
a) liquami: deiezioni più o meno diluite con acque di
lavaggio, di veicolazione o per perdite dell'impianto idrico
e sprechi agli abbeveratoi. Si considerano liquami anche i materiali
ispessiti derivanti da sedimentazione e le acque utilizzate per
il lavaggio di pavimentazioni o impianti (es. tipico la sala
di mungitura) o che comunque dilavano deiezioni anche se in quantità
relativamente contenute (es. acque piovane che dilavano le aree
di esercizio scoperte);
b) materiali solidi: effluenti in forma palabile che danno luogo
alla formazione di cumuli.
Sono da adottare le soluzioni costruttive che limitano il consumo
idrico ai fabbisogni fisiologici degli animali.
Azioni
Applicando,
a livello operativo, tali considerazioni si ricavano le seguenti
indicazioni.
Negli allevamenti per bovini:
a) Evitare stalle libere aperte con zone di riposo ed alimentazione
separate da una zona di esercizio scoperta.
" una soluzione ancora molto diffusa, soprattutto per il
giovane bestiame da rimonta, e che va invece decisamente sconsigliata.
b) Privilegiare le soluzioni accorpate nelle quali, durante le
stagioni sfavorevoli, sia possibile escludere le zone scoperte.
c) Favorire le soluzioni elastiche che, in presenza di disponibilità
di materiali da lettiera, consentono di passare dalla produzione
di liquame alla produzione di deiezioni solide (ciò porta
a limitare l'uso del pavimento fessurato).
d) Fare particolare attenzione al settore della mungitura prevedendo
soluzioni che evitino/riducano l'uso di acqua per il lavaggio
delle pavimentazioni e degli impianti.
Negli allevamenti suini:
e) Evitare soluzioni costruttive che richiedono le effettuazioni
di lavaggi delle pavimentazioni e l'impiego di acqua per la veicolazione
delle deiezioni.
L'adozione della pavimentazione fessurata su tutta, o parte,
della superficie del box consente di evitare i lavaggi. Per ottenere
la movimentazione delle deiezioni raccolte nelle fosse sottostanti
è necessario che queste siano realizzate e gestite in
modo particolarmente accurato. In particolare sono da privilegiare
soluzioni che prevedono lo svuotamento discontinuo e frequente
o che consentono l'allontanamento, per semplice gravità,
dei solidi.
f) Evitare la realizzazione delle fosse di stoccaggio dei liquami
sotto al fessurato ed all'interno del ricovero.
Tale situazione, oltre che di solito più costosa, presenta
numerose controindicazioni, in particolare:
- induce
un aumento delle emissioni di gas nocivi (NH3, H2S) in ambiente
a causa della maggior permanenza dei liquami nel ricovero;
- la
maggior profondità delle fosse aumenta la probabilità
di interessare per impermeabilizzazione non perfetta le falde
più superficiali con pericoli di diluizione dei liquami
per l'ingresso di acqua, o inquinamento delle falde per fuoriuscita
di liquami;
- in
caso di presenza di fosse dovrà essere realizzato un adeguato
stoccaggio esterno ove effettuare il trattamento di omogeneizzazione
dei liquami, pratica indispensabile per un loro corretto utilizzo
agronomico;
- non
è possibile conservare i liquami, per il periodo minimo
di cautela sanitaria, evitando la immissione di materiale fresco
nelle fosse;
Le
fosse interne al ricovero dovranno quindi essere progettate solo
per la veicolazione dei liquami e non per il loro stoccaggio
prolungato. In pratica non si dovrà superare una altezza
complessiva di 80-100 cm.
g) Adottare accorgimenti per evitare ogni spreco d'acqua degli
abbeveratoi. " questo un problema ancora troppo spesso trascurato
che deve invece rientrare nelle specifiche dei requisiti di ogni
impianto idrico. Un ruolo importante, oltre al tipo ed al numero
degli abbeveratoi, è svolto dalle modalità di installazione
e dal livello della pressione di erogazione.
h) Optare, nella progettazione di nuovi insediamenti, a favore
di soluzioni che prevedano un maggior tempo di permanenza degli
animali nello stesso ambiente. In questo modo se ne riducono
gli spostamenti e, di conseguenza, anche le operazioni di lavaggio
richieste ad ogni ristallo.
Negli allevamenti avicoli in gabbia:
i) Per quanto riguarda gli interventi strutturali è consigliabile:
- installare
all'interno del ricovero, o in ricovero annesso, sistemi che
utilizzano l'aria esausta per la predisidratazione della pollina,
in modo da portare l'umidità relativa a un livello al
di sotto del quale si riducono sensibilmente l'attività
ureasica e le fermentazioni.
Si viene così a disporre di un materiale che conserva
il proprio tenore in azoto, non maleodorante, di volume più
ridotto, facilmente spandibile;
- l'installazione
di abbeveratoi e di mangiatoie antispreco: si riducono il volume
e la diluizione della pollina e, assieme, le emissioni di odori;
- la
coibentazione adeguata del ricovero al fine di consentire elevati
volumi di ventilazione con effetto positivo sulla predisidratazione
della pollina nonché sul benessere degli animali.
l)
Relativamente alle buone pratiche gestionali bisognerà
prevedere:
- una
riduzione del numero di animali per gabbia in accordo con la
normativa sul benessere degli animali: la distribuzione delle
deiezioni su di una superficie più ampia, favorisce la
riduzione del tenore di umidità delle medesime;
- ventilazione
efficace nel periodo estivo, eventualmente abbinata al raffrescamento,
per contenere l'innalzamento termico e la conseguente eccessiva
assunzione di acqua di abbeverata che si traduce, a sua volta,
in deiezioni più liquide.
Negli
allevamenti avicoli a terra:
m) Per quanto riguarda gli interventi strutturali è consigliabile:
- la
coibentazione adeguata dei ricoveri, compreso il pavimento, con
eliminazione dei ponti termici e con barriera vapore: oltre al
beneficio del risparmio energetico, si evita la formazione di
condensa e, di conseguenza, la umidificazione della lettiera;
- l'installazione
di sistemi di abbeverata studiati per evitare la dispersione
di acqua sulla lettiera, con erogatori in numero sufficiente
ad evitare il medesimo effetto;
- un
numero di alimentatori sufficiente ad evitare competizione tra
gli animali e conseguenti spargimenti di mangime sulla lettiera.
n)
Relativamente alle buone pratiche gestionali bisognerà
tenere presente che:
- gli
erogatori dell'acqua dovranno essere aggiustati ad altezza degli
occhi, man mano che i soggetti crescono, in modo da evitare sprechi
e bagnamento della lettiera;
- la
lettiera dovrà essere mantenuta ad uno spessore adeguato
per una incorporazione efficace delle deiezioni;
- la
formulazione del mangime deve essere tale da non favorire la
formazione di deiezioni acquose;
- la
densità di animali dovrà rispettare gli standard
della normativa sul benessere: ne consegue un carico ridotto
sulla lettiera che favorisce una trasformazione corretta della
medesima con riduzione delle emissioni di azoto e di odori.
Caratteristiche
stoccaggi per effluenti
Motivazioni
La
corretta utilizzazione agricola degli effluenti di allevamento
presuppone che questi siano resi disponibili nei periodi più
idonei sotto il profilo agronomico, e nelle condizioni più
vantaggiose per la loro distribuzione.
Per questo è necessario disporre di adeguati contenitori
che siano in grado di assicurare agli effluenti di allevamento:
- un
periodo di stoccaggio sufficiente a programmare la distribuzione
nei periodi più adatti alle colture;
- la
riduzione della carica microbica con la eliminazione degli eventuali
agenti patogeni presenti;
- una
sufficiente maturazione per garantire la stabilizzazione con
valide caratteristiche agronomiche.
I
contenitori dovranno essere realizzati e gestiti in modo tale
da evitare rischi di inquinamento delle acque superficiali e
sotterranee e da ridurre le emissioni in atmosfera.
Azioni
Dimensionamento
I
contenitori degli effluenti di allevamento dovranno essere dimensionati
considerandone la complessiva produzione giornaliera (deiezioni
palabili, liquami, acque di lavaggio e acque piovane) ed il periodo
di stoccaggio necessario per programmare una corretta distribuzione.
Quest'ultimo è strettamente legato all'ordinamento colturale
aziendale ed alle caratteristiche pedoclimatiche della zona.
Difficilmente comunque risulta possibile un corretto impiego
dei liquami se non si dispone di contenitori in grado di garantire
almeno i 140-150 giorni di stoccaggio.
Un orientamento prudenziale, che tenga quindi conto anche di
possibili andamenti climatici sfavorevoli, porta a considerare,
per il Nord-Italia, una estensione di tale periodo a 180 giorni.
Meno pressante è questa esigenza al Centro-Sud dove le
condizioni climatiche più favorevoli risultano meno vincolanti
per il corretto impiego dei liquami.
Più contenuto può essere il periodo di stoccaggio
per le deiezioni pagliose ed i materiali solidi palabili (90-120
giorni) che sono caratterizzati da una maggiore compatibilità
ambientale che può consentire, se necessario, sia la distribuzione
invernale sui prati, sia il prolungamento dello stoccaggio direttamente
a piè di campo. In tal caso lo stoccaggio temporaneo su
terreno nudo dovrà essere evitato in prossimità
di terreni particolarmente permeabili e comunque dovrà
prevedere la formazione di un solco perimetrale isolato idraulicamente
dal reticolo scolante.
Caratteristiche
costruttive
Per
i materiali liquidi è necessario prevedere lo stoccaggio
in bacini a perfetta tenuta, impermeabili per natura del sito
o impermeabilizzati artificialmente; qualora siano interamente
o parzialmente interrati dovranno essere realizzati al di sopra
del livello massimo di escursione del pelo libero della prima
falda acquifera.
Mentre per i contenitori di stoccaggio realizzati in cemento
armato, se correttamente costruiti, la impermeabilità
è garantita dalle caratteristiche stesse del materiale,
per le lagune in terra tale impermeabilità dovrà
essere assicurata dalle caratteristiche proprie del terreno e
da uno spessore sufficiente dello strato compattato (almeno 50
cm).
Nel caso in cui il coefficiente di permeabilità del fondo
e delle pareti non risulti sufficiente (K<1 x 10-7 cm/s) è
necessario provvederne l'impermeabilizzazione con rivestimenti
artificiali (geomembrane) che abbiano garanzie di congrua durata
(almeno 10 anni).
Per avere garanzie sul livello di autodisinfezione è necessario
che i liquami siano stati conservati per almeno 40-50 giorni,
evitando la immissione di materiale fresco. A tale fine lo stoccaggio
dovrà essere realizzato con più comparti o suddiviso
in più bacini.
Motivi di sicurezza e di facilità di gestione consigliano
di non realizzare bacini con volume unitario superiore ai 5000
mc, anche se per facilità di gestione È opportuno
non superare i 2000-3000 mc.
" necessario inoltre prevedere un sufficiente franco di
sicurezza (30-50 cm) tra livello massimo del battente liquido
e il bordo del bacino, per fare fronte a situazioni improvvise
ed impreviste.
Il volume dei contenitori dovrà essere aumentato del volume
di acqua piovana che vi si raccoglie nel periodo di stoccaggio.
" opportuno infine prevedere la possibilità di accedere
all'interno dei bacini per poter eseguire, con cadenza pluriennale,
operazioni di pulizia e controllo delle eventuali attrezzature
fisse (saracinesche, tubazioni, ecc.).
Sono consigliabili bacini a pareti verticali per liquami tal
quali o frazioni dense derivanti da processi di sedimentazione
o flottazione. Ciò al fine di migliorare l'efficienza
delle attrezzature di miscelazione. Sono accettabili, per le
frazioni chiarificate, bacini con un rapporto superficie/volume
superiore (nei liquami chiarificati l'azoto, presente prevalentemente
in forma ammoniacale, si diffonde naturalmente in modo uniforme
e pertanto È meno sentita l'esigenza della miscelazione).
Per i materiali palabili è necessario prevedere lo stoccaggio
in apposite concimaie, realizzate su platee impermeabilizzate
dotate di cordolo perimetrale e provviste di pozzetti di raccolta
del percolato, di adeguate dimensioni.
La semplice formazione di un cumulo di altezza non superiore
a 2 metri e il suo eventuale rivoltamento garantiscono una idonea
maturazione del letame e lo sviluppo di temperature sufficientemente
elevate per controllare i patogeni, tanto che ne può essere
previsto l'impiego con sufficiente tranquillità dopo tre
settimane.
Trattamento degli effluenti
La
separazione dei solidi
Motivazioni
Nei
liquami zootecnici sono presenti solidi sospesi, di varia granulometria,
che si possono ripartire, approssimativamente, in particelle
grossolane (dimensioni > 0,1 mm) e in particelle fini (dimensioni
< 0,1 mm).
L'applicazione di tecniche di separazione consente di ottenere
una frazione chiarificata ed una frazione inspessita, di consistenza
pastosa o palabile a seconda del dispositivo adottato, la cui
gestione risulta, nella maggior parte delle situazioni aziendali,
più razionale di quella del liquame tal quale.
Sulla frazione chiarificata risultano infatti più agevoli:
- il
pompaggio per l'uso fertirriguo e per la rimozione idraulica
delle deiezioni dai ricoveri;
- la
miscelazione e la stabilizzazione, con riduzione delle potenze
installate e, di conseguenza, dei consumi di energia elettrica,
per le attrezzature di movimentazione (pompe, miscelatori) e
di trattamento (aeratori);
- il
convogliamento mediante tubazione e/o l'impiego di attrezzature
per lo spandimento caratterizzate dalla presenza di ugelli di
piccolo diametro.
Anche
la gestione agronomica dei liquami trae vantaggio dalla separazione
dei liquami in due frazioni a diverso contenuto di sostanza secca
e di elementi nutritivi.
La frazione chiarificata può essere utilizzata nelle aree
a minor distanza dai contenitori di stoccaggio: grazie alla riduzione
del contenuto di azoto e fosforo ottenuta con la separazione,
tale frazione può essere applicata con volumi superiori
rispetto al liquame tal quale. Può inoltre essere destinata
alle somministrazioni in copertura, sia perché la minore
presenza di solidi in sospensione riduce sostanzialmente il fenomeno
dell'imbrattamento fogliare, sia perché l'azoto è
presente in prevalenza in forma minerale (azoto ammoniacale)
ed è pertanto immediatamente disponibile per la nutrizione
vegetale.
La frazione inspessita è caratterizzata, oltre che da
una maggiore concentrazione di sostanza secca, di sostanza organica
e di elementi nutritivi, da una percentuale più elevata
di azoto in forma organica e, quindi, a lento rilascio (tra il
65 e l'80% dell'azoto totale) rispetto al liquame tal quale.
Grazie a tali caratteristiche si presta a essere impiegata come
ammendante prima delle lavorazioni principali dei terreni.
La separazione solido-liquido, oltre che per ottimizzare la gestione
dei liquami in ambito aziendale, può avere una valenza
positiva ai fini della compatibilità ambientale della
zootecnia in aree ad elevata vulnerabilità.. La quota
di elementi nutritivi contenuta nella frazione solida può
infatti essere trasferita a distanza, in aree non soggette a
vincoli ambientali, con minori oneri rispetto alla movimentazione
di liquami tal quali. Inoltre, nel caso di conferimento a terzi,
tale frazione, opportunamente stabilizzata ed eventualmente valorizzata,
può essere più facilmente richiesta dagli agricoltori.
Azioni
"
particolarmente utile effettuare la separazioni dei solidi dai
reflui zootecnici prodotti in forma di liquame quando si verifica
una delle seguenti condizioni:
- per
dimensioni di stoccaggio superiori a 500 m3 : le operazioni di
omogeneizzazione, richieste in fase di prelievo dallo stoccaggio
del liquame tal quale per lo spandimento, sono complesse, richiedono
forte impegno di potenza; operando su liquami chiarificati è
possibile invece limitare la potenza installata e conseguire
risparmi energetici significativi (15-20%);
- nella
situazione in cui i vari appezzamenti a disposizione per lo spandimento
non siano accorpati e alcuni di essi siano posti a grande distanza:
è economicamente conveniente trasportare i solidi su questi
ultimi, riservando alla frazione liquida i terreni posti a minor
distanza dal centro aziendale;
- quando
il piano di spandimento preveda la somministrazioni di liquami
in copertura, ai fini di evitare gli imbrattamenti fogliari;
- nel
caso in cui si utilizzino, per lo spandimento, linee fisse o
semifisse e/o dispositivi irrigatori dotati di ugelli di piccolo
diametro.
"
poi necessario distinguere tra:
- dispositivi
per la separazione dei soli solidi grossolani (vagli rotativi,
statici e vibranti, vaglio centrifugo ad asse verticale, separatore
cilindrico rotante, separatore a compressione elicoidale);
- dispositivi
per la separazione dei solidi grossolani e fini, a loro volta
distinti in separatori per gravità, per flottazione e
meccanici (centrifughe e nastropresse).
Miscelazione
Motivazioni
Il
peso specifico delle frazioni solide sospese dei liquami è
diverso; a ciò consegue, nella fase di stoccaggio, la
stratificazione di una frazione densa di fondo, di una frazione
intermedia chiarificata e di una frazione flottante, contenente
solidi a basso peso specifico, che gradualmente si asciuga. A
parte l'azoto ammoniacale e il potassio, che, essendo presenti
in fase disciolta, sono uniformemente distribuiti nella massa,
gli altri elementi della fertilità, in particolare il
fosforo, seguono la disomogeneità di distribuzione dei
solidi sospesi.
" opportuno intervenire con mezzi atti a contrastare tale
tendenza alla stratificazione, ai fini di ottenere un liquame
di composizione uniforme, per diversi motivi:
- facilitare
il funzionamento dei dispositivi di movimentazione, sia che si
debbano trasferire i liquami tra contenitori di stoccaggio, sia
che si debba procedere allo spandimento;
- favorire
la distribuzione dei liquami, soprattutto nel caso in cui si
impieghino tubazioni di adduzione e mezzi dotati di ugelli di
piccolo diametro;
- favorire
lo svuotamento dei bacini nelle operazioni di spurgo;
- effettuare
campionamenti rappresentativi dei liquami da sottoporre all'analisi
chimica per determinarne il potere fertilizzante e calibrare
le dosi di somministrazione;
- effettuare
apporti omogenei di elementi della fertilità sulla superficie
trattata con i liquami.
Alcune
attrezzature effettuano la miscelazione contestualmente alla
immissione di aria nel liquame, operazione finalizzata alla riduzione
del problema degli odori. Il trattamento di aerazione verrà
esaminato in dettaglio successivamente.
Azioni
Per
miscelazione e/o omogeneizzazione, si intende una tecnica che,
mediante l'impiego di apposite attrezzature e rispettando precise
modalità operative, consente di ottenere un liquame di
composizione uniforme. Le linee guida nelle applicazioni della
miscelazione ai liquami zootecnici sono le seguenti.
Nel caso di liquami tal quali sarebbe opportuno procedere periodicamente
alla miscelazione durante tutto il periodo di stoccaggio. Si
può ritenere adeguata una miscelazione effettuata per
almeno 0,5-1 ora/settimana. Il consumo energetico risulta in
tal modo assai modesto, 3-12 Wh-m-3 di vasca alla settimana.
" opportuno adottare per la miscelazione apposite attrezzature.
La miscelazione mediante ricircolo con pompa di sollevamento
o con immissione di aria in pressione o liquame da carrobotte
non risulta efficace se non in caso di bacini di dimensione inferiore
a 200-300 m3. Le apparecchiature che permettono la maggiore elasticità
di funzionamento e che meglio si adattano alle differenti geometrie
e volumi dei bacini sono gli agitatori meccanici posizionati
all'interno del bacino. " opportuno sottoporre i liquami
alla separazione solido/liquido prima della omogeneizzazione.
In tal modo è possibile ridurre la potenza installata
(la potenza specifica richiesta dipende anche dal contenuto di
solidi sospesi del liquame) e ridurre i tempi di funzionamento
dei miscelatori.
Stabilizzazione
La
stabilizzazione facilita il processo di umificazione e comporta
la mineralizzazione del contenuto di sostanza organica facilmente
degradabile. Essa consente di raggiungere due obiettivi principali:
ridurre significativamente i processi putrefattivi a carico del
materiale trattato, processi di decomposizione della sostanza
organica, in genere anaerobici, che danno luogo alla formazione
di composti maleodoranti; ridurre la concentrazione di microrganismi
patogeni.
Trattamento Aerobico
Motivazioni
L'insufflazione
di aria nel liquame ha la funzione di favorire l'azione di batteri
aerobici facoltativi che indirizzano la degradazione della sostanza
organica verso la produzione di composti non maleodoranti. Per
il controllo degli odori È sufficiente una parziale stabilizzazione
che si ottiene instaurando nella massa dei liquami condizioni
di ossigeno disciolto di poco superiori allo zero.
Azioni
Le
macchine utilizzabili per il trattamento aerobico dei liquami
zootecnici sono:
- aeratori
superficiali;
- aeratori
sommersi (a elica o eiettori);
- aeratori
con eiettori verticali su circuito.
Tra
queste attrezzature è importante scegliere quelle che:
- garantiscano
un'ossigenazione più uniforme della massa alle diverse
profondità (esigenza particolarmente sentita per i liquami
a elevata sedimentabilità, come quelli suini);
- limitino
la formazione di aerosol;
- consentano
di mantenere una temperatura dei liquami leggermente superiore
a quella rilevata con gli aeratori di superficie.
Nella
scelta e nel dimensionamento dei dispositivi di aerazione andranno
presi in considerazione i seguenti fattori:
- caratteristiche
dei liquami da ossigenare;
- caratteristiche
dei bacini di aerazione;
- caratteristiche
degli aeratori;
- potenza
specifica.
Relativamente
alle modalità di impiego degli aeratori, le esperienze
già maturate per i liquami zootecnici consigliano cicli
di trattamento di 10-20 minuti all'ora sull'intero arco giornaliero,
per un totale di 4-8 ore al giorno.
Tempi di trattamento prolungati sono richiesti per liquami nei
quali si sono già attivati processi di degradazione anaerobica
che sono all'origine dei cattivi odori; è quindi consigliabile,
quando si deve ossigenare, ottimizzare e rendere più frequente
la rimozione dei liquami dalle stalle, per impedirne il ristagno
nelle fosse sottostanti i fessurati e/o nella rete fognaria.
" consigliabile, inoltre, che il liquame, prima di qualsiasi
trattamento di ossigenazione, sia sottoposto a separazione dei
solidi sospesi.
La rimozione dei solidi grossolani mediante vagliatura consente
una riduzione di circa il 20% della potenza richiesta per l'aerazione.
La rimozione dei solidi fini mediante sedimentazione o con centrifuga
e nastropressa aumenta ulteriormente l'efficienza dell'ossigenazione.
Trattamento Anaerobico
Motivazioni
Il
trattamento anaerobico in condizioni controllate porta alla degradazione
della sostanza organica, alla stabilizzazione dei liquami e alla
produzione di energia sotto forma di biogas, una miscela formata
per il 60-75% da metano e, per la quota restante, quasi esclusivamente
da anidride carbonica.
La digestione anaerobica del liquame non comporta riduzione significativa
né del volume né del contenuto di azoto e fosforo.
Un buon abbattimento degli odori, pressoché completo per
quelli più sgradevoli, è ottenibile con impianti
nei quali il processo di digestione anaerobica sia condotto in
condizioni mesofile (30-35 °C) o termofile (50-55 °C).
Buoni risultati possono essere raggiunti anche con la digestione
a temperature più basse, nell'intervallo 10-25 °C,
purché siano assicurati tempi adeguati di permanenza.
L'abbattimento del carico organico carbonioso ottenibile in digestione
anaerobica conferisce al liquame una sufficiente stabilità
anche nei successivi periodi di stoccaggio: si ha un rallentamento
dei processi degradativi e fermentativi con conseguente diminuzione
nella produzione di composti maleodoranti.
La digestione anaerobica in mesofilia riduce solo in parte l'eventuale
carica patogena presente nei liquami.
Operando in termofilia (oltre 55 °C) è possibile,
invece, ottenere l'effettiva igienizzazione del liquame.
Tra i benefici della digestione anaerobica si riporta il miglioramento
della qualità agronomica dei liquami. In questo senso
può interpretarsi la trasformazione, che si verifica nel
processo, dell'azoto organico, a lento rilascio, in azoto ammoniacale
prontamente disponibile per la nutrizione vegetale. Tale modificazione
può rappresentare un vantaggio per impieghi in presenza
delle colture o in prossimità della semina; tuttavia può
comportare perdite di maggiore entità per volatilizzazione
nel corso dello spandimento ed accentuare il pericolo di percolazione
di nitrati conseguenti a somministrazioni estive ed autunnali.
Non è poi apprezzabile il miglioramento della qualità
della sostanza organica, in quanto la digestione anaerobica comporta
principalmente mineralizzazione della frazione organica facilmente
degradabile presente nei liquami.
Il trattamento anaerobico convenzionale (impianti mesofili ad
alto carico) può essere convenientemente impiegato:
- nell'ambito
del ciclo depurativo di reflui zootecnici, per la sola stabilizzazione
dei fanghi di supero primari e secondari;
- previa
una accurata verifica dei bilanci energetici ed economici, per
la stabilizzazione dei liquami in impianti interaziendali o consortili
di potenzialità adeguata e che prevedano l'impiego fertirriguo
degli effluenti.
Azioni
Gli
impianti proposti fino a un recente passato dall'industria (impianti
mesofili, completamente miscelati, ad alto carico) hanno evidenziato
una serie di limiti non superabili, ai fini dell'inserimento
in aziende zootecniche:
- costi
elevati dovuti alla complessità costruttiva: sistemi di
miscelazione e riscaldamento, volumi rilevanti in relazione alla
diluizione dei reflui zootecnici, complessi sistemi di utilizzazione
dell'energia prodotta;
- complessità
gestionale spesso non adeguatamente affrontata (e affrontabile)
nell'azienda agricola;
- difficoltà
nell'utilizzazione completa dell'energia prodotta.
Una
proposta tecnologica che ovvia almeno in parte a tali limiti
e che riveste pertanto interesse per la singola azienda zootecnica
è la digestione anaerobica in impianto semplificato.
L'impianto è ricavato dalla copertura del contenitore
di stoccaggio dei liquami o di una sua parte. La copertura consente
di recuperare il biogas che spontaneamente si sviluppa dalla
fermentazione anaerobica dei liquami a temperatura ambiente (nel
caso degli impianti a freddo) e in assenza di miscelazione.
Nel caso degli impianti riscaldati, parte del calore ottenuto
dalla combustione del biogas in caldaia o in cogeneratore viene
inviata, sotto forma di acqua calda, in scambiatori di calore
semplificati (serpentine) immersi nella vasca di stoccaggio.
Le applicazioni
aziendali
"
consigliabile che il liquame, prima di essere avviato al bacino
coperto, sia sottoposto a un trattamento di vagliatura per rimuovere
i solidi sospesi grossolani che potrebbero dar luogo a formazioni
flottanti al di sotto della copertura, di ostacolo al buon funzionamento
dell'impianto.
Lo schema operativo più semplice consiste nel coprire,
con il telo in materiale plastico, il bacino utilizzato per lo
stoccaggio dei liquami zootecnici. " questo uno schema che
in genere comporta ampie superfici coperte e basse rese in termini
di biogas recuperato per unità di superficie coperta.
" difficile infatti, in questo caso, localizzare la copertura
al di sopra di una zona di sedimentazione del liquame; zona ove
tende ad accumularsi quel fango organico la cui mineralizzazione
comporta produzione di biogas e stabilizzazione-deodorizzazione
del liquame.
Lo schema operativo più efficiente prevede la presenza
di più bacini, dei quali il primo ha funzione di sedimentatore,
i successivi di bacini di stoccaggio. La copertura ai fini della
captazione del biogas viene prevista sul primo, dove è
maggiore la concentrazione di sostanza organica digeribile.
In tal modo, a parità di efficienza nella produzione di
biogas, risulta ridotta al minimo la superficie coperta.
Compostaggio dei solidi
Motivazioni
Il
compostaggio è un processo controllato di decomposizione
ossidativa della sostanza organica operato da microrganismi aerobi;
rispetto ai processi naturali conosciuti che portano ad esempio
alla formazione di letame e lettiera di bosco, è caratterizzato
da una maggiore velocità di trasformazione e da una notevole
produzione di calore che assicura la distruzione dei germi patogeni
e dei semi delle erbe infestanti eventualmente presenti, garantendo
un sufficiente grado di igienizzazione del prodotto.
Il prodotto ottenuto (compost) ha un elevato valore agronomico,
soprattutto se confrontato con i reflui zootecnici tal quali.
Infatti:
- è
un prodotto caratterizzato da un contenuto di sostanza secca
del 60-70%, stabilizzato e non maleodorante. ciò implica
una riduzione in peso (il peso del prodotto finale rappresenta
il 25-30% di quello iniziale), un minore volume occupato, una
più omogenea struttura fisica, una gestione semplificata
e agevole (è stoccabile in cumulo e convenientemente trasportabile
a distanza);
- la
sostanza organica presente è stabilizzata e parzialmente
umificata; risulta, quindi, convenientemente impiegabile in pieno
campo, anche a diretto contatto con le radici, per migliorare
il tenore di sostanza organica dei terreni e quindi la loro fertilità;
- fornisce
le migliori garanzie di igienizzazione, grazie alle elevate temperature
che si raggiungono nel corso del processo;
- pur
essendo un ammendante, in funzione del materiale di partenza
(refluo bovino, suino o avicolo), può apportare una discreta
quantità di elementi nutritivi;
- grazie
alle caratteristiche fisico-chimiche che gli sono proprie, trova
impiego come substrato di coltivazione nel settore orto-floro-vivaistico,
e anche in settori extra-agricoli; nel recupero di aree degradate,
nella realizzazione di manti erbosi, quali parchi, campi sportivi,
ecc.
Per
tali caratteristiche può trovare una collocazione all'esterno
dell'area di produzione del refluo zootecnico di provenienza
e rappresentare pertanto una soluzione quando si verifichi una
situazione di eccedenza di liquami rispetto alla possibilità
di utilizzazione agronomica in prossimità dell'allevamento
Azioni
Il
compostaggio può essere applicato:
- a
deiezioni tal quali solo se il contenuto di sostanza secca È
superiore al 20-25% (pollina di ovaiole);
- a
deiezioni miste a lettiera;
- a
frazioni solide ottenute con dispositivi atti ad assicurare i
valori di secco opportuni (almeno il 25%).
Tra
le soluzioni impiantistiche attualmente disponibili le più
idonee per una conveniente applicazione su scala aziendale o
interaziendale sono:
a) Impianti semplificati per la trasformazione in cumulo, di
tipo aperto. Sono utilizzabili per le frazioni solide di reflui
suini, per miscele di deiezioni bovine con residui organici,
per miscele di fanghi di depurazione di liquami zootecnici con
residui vegetali, per le polline preessiccate. Sono costituiti
da una platea impermeabilizzata, correttamente dimensionata,
attrezzata per il convogliamento e la raccolta dei percolati
(da ricircolare sul materiale in fase di attiva trasformazione).
La platea ospita tanto la fase attiva del processo, durante la
quale si facilita l'arieggiamento mediante periodici rivoltamenti,
tanto la fase di maturazione. Lo stoccaggio dei compost prodotti
prima dell'utilizzazione agronomica potrà prevedere ulteriori
superfici di platea.
b) Reattori chiusi. Sono preferibili per il trattamento di residui
che svolgono elevate quantità di ammoniaca (ad esempio
le polline tal quali) e nei casi in cui risulti necessario ridurre
drasticamente le emissioni ammoniacali, in quanto l'aria esausta
dell'impianto può essere avviata a scrubber chimici o
biologici.
Effluenti dai sili per lo stoccaggio dei foraggi
Motivazioni
Le
perdite per percolazione dai foraggi insilati rappresentano,
oltre che una causa di riduzione del loro valore nutritivo, una
possibile fonte di inquinamento.
Il loro volume è determinato essenzialmente dal tipo e
dal tenore in sostanza secca del materiale insilato; con un contenuto
di solidi totali (S.T.) superiore al 28-30% la formazione di
colature è praticamente nulla.
L'insilamento di erbai raccolti in primavera (in genere di graminacee
in purezza) può però comportare, a causa di andamenti
metereologici avversi, la necessità di effettuare l'insilamento
anche di foraggio dotato di un basso tenore di S.T., rendendo
così inevitabile la formazione di coli.
Azioni
Occorre
seguire due linee di intervento, una gestionale ed una relativa
alle caratteristiche delle strutture destinate alla conservazione
dei foraggi insilati.
Per la prima è evidente la necessità di tendere
all'insilamento di materiale con un sufficiente tenore di S.T.
In questo senso può essere utile effettuare, in caso di
foraggi troppo umidi, aggiunte di materiali più secchi
(ad esempio polpe secche di barbabietola) per arrivare ad un
contenuto di S.T. almeno pari al 30% bloccando così la
potenziale fonte di inquinamento sin dall'origine.
Per quanto relativo alle strutture per l'insilamento occorre
prevedere la raccolta e l'invio ad uno stoccaggio (che può
essere quello stesso previsto per i liquami zootecnici opportunamente
aumentato di volume) degli effluenti provenienti dall'insilato.
La produzione di questi effluenti è massima nei periodi
immediatamente successivi all'insilamento, ma si evidenzia anche
nella successiva fase di utilizzo.
Mentre, in presenza di sili verticali, il volume dei reflui è
limitato alle effettive percolazioni del prodotto, quando si
utilizzano i sili orizzontali a platea questo può essere
notevolmente aumentato a causa delle acque piovane che si raccolgono
sulle pavimentazioni.
Per questo è importante predisporre, nei pozzetti e/o
nella fognatura, la possibilità di escludere dalla raccolta
le acque piovane provenienti dalla platea quando (o perché
il silo È vuoto o per il sufficiente livello della sostanza
secca del materiale insilato) a queste non si aggiungono i percolati.
Un altro aspetto importante riguarda la prevenzione della fuoriuscita
degli eventuali liquidi di colo del foraggio attraverso la pavimentazione
deteriorata.
Tali liquidi, infatti, sono caratterizzati da una notevole aggressività
nei confronti del calcestruzzo che, con il tempo, può
perdere la sua integrità.
Per ovviare a questo inconveniente si può intervenire
stendendo sulla pavimentazione esistente un manto in conglomerato
bituminoso, dello spessore minimo di 5-6 cm, in modo da evitare
ogni ulteriore contatto tra i liquidi di colo e la pavimentazione
in calcestruzzo.
Tale pratica è da raccomandare anche nelle nuove realizzazioni
per le quali può essere prevista una pavimentazione costituita
da una massicciata ben assestata e da sovrastante manto in conglomerato
bituminoso dello spessore di circa 10 cm.
Prevenzione dell'inquinamento delle acque
dovuto allo scorrimento ed alla percolazione nei sistemi di irrigazione
Motivazioni
L'irrigazione
può contribuire all'inquinamento delle acque mediante
il movimento dell'acqua irrigua sia in verticale dalla superficie
agli strati più profondi (percolazione) che orizzontalmente
per scorrimento superficiale.
I rischi dell'inquinamento per irrigazione variano in relazione
alle caratteristiche del terreno (permeabilità, capacità
di ritenzione idrica, profondità, pendenza, profondità
della falda, ecc.), alle pratiche agronomiche (modalità
di concimazione, ordinamenti colturali, lavorazione del terreno,
ecc.), al metodo irriguo ed alle variabili irrigue adottate.
Le zone ove l'irrigazione è a più elevato rischio
presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: terreni
sabbiosi molto permeabili ed a limitata capacità di ritenzione
idrica; presenza di falda superficiale (profondità non
superiore a 2 m); terreni superficiali (profondità inferiore
a 15-20 cm) poggianti su roccia fessurata; terreni con pendenza
elevata superiore al 2-3%; pratica di una agricoltura intensa
con apporti elevati di fertilizzanti; terreni ricchi in sostanza
organica e lavorati frequentemente in profondità; presenza
di risaie su terreni con media permeabilità, ecc.
Le zone a rischio moderato sono invece caratterizzate: da terreni
di media composizione granulometrica, a bassa permeabilità
ed a discreta capacità di ritenzione idrica; presenza
di falda mediamente profonda (da 2 a 15-20 m); da terreni di
media profondità (non inferiore a 50-60 cm); terreni con
pendenza moderata; apporto moderato di fertilizzanti ecc.
Le zone a basso rischio sono quelle con terreni tendenzialmente
argillosi, poco permeabili e con elevata capacità di ritenzione
idrica, profondi più di 60-70 cm con falda oltre i 20
m e con scarsa pendenza, inferiore al 10%.
Azioni
Una
buona pratica irrigua deve mirare a contenere la percolazione
e lo scorrimento superficiale delle acque e dei nitrati in esse
contenuti e a conseguire valori elevati di efficienza distributiva
dell'acqua.
Per quanto riguarda il primo punto, il concetto-base è
di fornire ad ogni adacquatura volumi esattamente adeguati a
riportare alla capacità idrica di campo lo strato di terreno
maggiormente esplorato dalle radici della coltura. Ciò
presuppone la conoscenza delle caratteristiche idrologiche del
terreno e la misura o la stima del suo stato idrico al momento
dell'adacquamento (che varia da coltura a coltura). Sia la profondità
da bagnare sia il punto d'intervento irriguo sono facilmente
reperibili per le principali colture sui manuali.
Ai fini della realizzazione di valori elevati di efficienza distributiva
dell'acqua il metodo irriguo assume un ruolo determinante. I
principali fattori agronomici che influenzano la scelta del metodo
irriguo sono le caratteristiche fisiche, chimiche ed orografiche
del terreno, le esigenze o/e caratteristiche delle colture da
irrigare, la qualità e quantità di acqua disponibile
e le caratteristiche dell'ambiente in cui si deve operare.
Per contenere le perdite di nitrato per irrigazione a scorrimento
superficiale e per percolazione profonda tale metodo dovrebbe
essere adottato su terreni profondi, tendenzialmente argillosi,
per colture dotate di apparato radicale profondo e che richiedono
interventi irrigui frequenti.
L'irrigazione per scorrimento superficiale È sconsigliata
in zone a rischio elevato e moderato.
Qualora si adotti l'irrigazione per infiltrazione laterale da
solchi è bene ricordare che il rischio di percolazione
dei nitrati decresce passando dall'inizio alla fine del solco,
da terreni tendenzialmente sabbiosi, poco rigonfiabili ed a permeabilità
relativamente elevata, a terreni tendenzialmente argillosi, rigonfiabili
ed a bassa permeabilità; da terreni superficiali a quelli
profondi; da colture con apparato radicale superficiale a quelle
con apparato radicale profondo.
In terreni fortemente rigonfiabili sono sconsigliati turni irrigui
molto lunghi per evitare la formazione di crepacciature molto
profonde attraverso cui potrebbero disperdersi notevoli quantità
di acqua negli strati profondi, con trasporto in essi di soluti
lisciviati degli strati più superficiali.
Nel caso si pratichi una irrigazione a pioggia, per evitare perdite
di nitrati per percolazione e ruscellamento superficiale bisognerà
porre particolare attenzione alla distribuzione degli irrigatori
sull'appezzamento, all'intensità di pioggia elevata rispetto
alla permeabilità del terreno, all'interferenza del vento
sul diagramma di distribuzione degli irrigatori, all'influenza
della vegetazione sulla distribuzione dell'acqua nel terreno.
Nel caso si effettui una fertirrigazione per prevenire fenomeni
di inquinamento essa deve essere praticata con metodi irrigui
che assicurano una elevata efficienza distributiva dell'acqua;
il fertilizzante non deve essere immesso nell'acqua di irrigazione
sin dall'inizio dell'adacquata, ma preferibilmente dopo aver
somministrato circa il 20-25% del volume di adacquamento; la
fertirrigazione dovrebbe completarsi quando è stato somministrato
l'80-90% del volume di adacquamento.
Piani di fertilizzazione azotata
Motivazioni
Ogni
specie vegetale e/o varietà ha un livello di produttività
che dipende, oltre che dal proprio patrimonio genetico, dal livello
di disponibilità dei vari fattori necessari alla sua crescita
e al suo sviluppo, fattori che per i vegetali sono la luce, la
CO2 , l'acqua, gli elementi micro e macronutritivi. Secondo la
ben nota legge del minimo qualsiasi fattore può limitare
la produzione; la scienza delle coltivazioni ha tra i suoi compiti
proprio quello di rimuovere tutti i fattori limitanti tecnicamente
ed economicamente rimovibili (elementi nutritivi sempre, acqua
quando disponibile), accettando solo i limiti alla produttività
imposti da fattori non modificabili: l'energia luminosa, la CO2
e talora, l'acqua.
In altre parole, per ogni coltura è possibile stabilire
il livello di produttività massima che essa è capace
di realizzare, quando i fattori limitanti agronomicamente regolabili
sono stati corretti.
Si intende che vanno tenuti presenti i limiti economici, riconducibili
alla legge degli incrementi produttivi decrescenti. In base a
questa, ci si deve limitare alle dosi dei fattori, nella fattispecie
dell'azoto, al livello che assicura risposte produttive tecnicamente
ed economicamente significative, senza salire al livello massimo,
di stretta marginalità: si tratta quindi di stabilire
gli obiettivi di produzione, quelli che conciliano al meglio
la remunerazione dei produttori, l'approvvigionamento dei consumatori
e la minimizzazione del rischio ambientale.
" su questo concetto di produttività potenziale che
proponiamo di definire il fabbisogno massimo di azoto delle varie
specie coltivate da considerarsi come livello massimo consentito
di concimazione azotata; in questo modo si eviteranno gli eccessi
che sono la causa più importante di rischio di rilascio
di azoto.
Nello stimare i fabbisogni di azoto si è seguita la linea
di prendere come base i livelli medio-alti di produttività
e i conseguenti prelevamenti di azoto da parte delle colture
(salvo le leguminose), quali risultano dalla composizione chimica
delle biomasse prodotte.
Le stime per tutte le colture erbacee elencate nel Compendio
Statistico Italiano (ISTAT 1992) sono riportate nella Tabella
1.
Questi valori potrebbero far conseguire con il massimo di semplicità
il risultato di evitare eccessi clamorosi di concimazione azotata.
Quanto detto non esclude che gli agricoltori considerino la possibilità
di ridurre ulteriormente le dosi d'impiego dell'azoto secondo
le peculiarità della loro azienda tenendo conto della
natura del loro terreno e del sistema colturale del quale le
singole colture fanno parte. Si tratta quindi di veri e propri
piani di fertilizzazione.
Azioni
Il
Piano di Fertilizzazione è il documento che, in funzione
delle caratteristiche del suolo, del clima, delle colture previste
e della loro produzione attesa (obiettivo di produzione), determina
quantità, tempi e modalità di distribuzione dei
fertilizzanti naturali e di sintesi.
Il Piano di Fertilizzazione aziendale, articolato per singole
colture, deve mirare a ottimizzare le risorse disponibili, tenendo
conto di tutti i fattori che interagiscono con il sistema suolo-pianta.
Presupposti per i Piani di Fertilizzazione sono:
- la
conoscenza del grado di fertilità del suolo e la stima
dei fabbisogni delle diverse colture;
- la
conoscenza delle caratteristiche pedoclimatiche che condizionano
il comportamento nel suolo degli elementi nutritivi nelle loro
diverse forme.
Ne
consegue che una adeguata conoscenza dei suoli e del clima, che
non si basi sulle sole analisi chimico-fisiche routinarie dello
strato arato, ma che tenga conto anche dei rischi di inquinamento
del suolo e delle acque superficiali e profonde, costituisce
il presupposto indispensabile per la redazione di un Piano di
Fertilizzazione.
Tale conoscenza dei suoli oltre che derivare dall'uso di strumenti
di riferimento quali le carte pedologiche, le carte attitudinali
da esse derivate, le carte della fertilità dei suoli,
discende soprattutto dalle osservazioni di campagna effettuate
direttamente da un tecnico.
Indispensabile, inoltre, è avere un quadro complessivo
dell'azienda soprattutto relativamente a:
- colture
e rotazioni praticate e praticabili;
- disponibilità
aziendale ed extra aziendale di fertilizzanti organici;
- possibilità
di irrigazione e metodo utilizzato; - disponibilità di
mezzi tecnici per la distribuzione dei fertilizzanti;
- tipi
di lavorazioni e sistemazioni idrauliche adottate.
La
redazione del Piano di Fertilizzazione deve porre particolare
attenzione ad evitare il pericolo di dilavamento dei nitrati,
prendendo in considerazione le caratteristiche dei suoli e la
distribuzione ed entità delle precipitazioni, fondandosi
su un pur semplificato bilancio dell'azoto. Deve essere presa
in considerazione la possibilità di utilizzare sostanza
organica prodotta in azienda o disponibile in altre aziende agricole
o comunque reperibile sul mercato, valorizzandola opportunamente
come illustrato nei precedenti capitoli.
Il Piano di Fertilizzazione assume speciale rilevanza quando
si intendono impiegare anche reflui zootecnici aziendali ed extraziendali
che, per la loro natura e continuità di produzione, richiedono
particolare attenzione per una corretta utilizzazione agricola.
Il Piano di Fertilizzazione diventa infine indispensabile nel
caso si vogliano utilizzare reflui di origine extra-agricola,
tenuto conto di quanto indicato nel capitolo Tipologia dei fertilizzanti
azotati. In tal caso oltre al bilancio dell'azoto dovranno essere
valutati gli accorgimenti e le soluzioni necessari ad evitare
i rischi di ruscellamento ed altresì l'accumulo nel terreno
di fosforo, potassio, rame, zinco ed altri metalli pesanti nonché
la possibile emergenza di problemi igienico-sanitari.
Un bilancio dell'azoto sia pure approssimato dovrebbe basarsi
sulla stima delle diverse entrate ed uscite determinando gli
apporti azotati in funzione dell'obiettivo di produzione secondo
la semplice relazione di seguito riportata:
concimazione azotata = fabbisogni colturali - (apporti naturali
di N) + (immobilizzazioni e dispersioni di N)
I fattori da prendere in pratica considerazione in quanto quantificabili
abbastanza facilmente sono i seguenti.
Apporti
(da defalcare dal fabbisogno)
a) Fornitura da parte del terreno: in una stagione di mineralizzazione
(dalla primavera all'autunno) l'humus del terreno può
mediamente contribuire alla nutrizione azotata delle colture
fornendo complessivamente 30-35 kg/ha di azoto per ogni unità
percentuale di humus presente nel terreno.
b) Residui della coltura precedente: la quantità, composizione
e destinazione dei residui colturali determina la disponibilità
di azoto assimilabile per la coltura successiva. A titolo di
esempio, valori indicativi, validi per qualche precedente colturale,
sono i seguenti:
- dopo
prato di erba medica 60-80 kg/ha di N
- dopo
leguminose da granella 30-40 kg/ha di N
- dopo
barbabietola40-50 kg/ha di N
- dopo
frumentotracce
c)
Post-effetto di precedenti concimazioni organiche:
- dopo
letamazione (30 t/ha) 1°anno 40-50 kg/ha di N
- 2°anno
20-25 kg/ha di N
d)
Azoto delle deposizioni atmosferiche secche e umide: 10-15 kg/ha
anno.
Immobilizzazioni e dispersioni di azoto (da aggiungere al fabbisogno)
e) Riorganicazione: dopo interramento di residui pagliosi considerare
8-10 kg di N/t.
f) Lisciviazione: l'azoto di cui alle voci a) e b) può
essere totalmente o parzialmente dilavato durante la stagione
piovosa. Nei piani di fertilizzazione delle colture a semina
primaverile può essere stimato, ancorché grossolanamente,
se e quante volte le piogge autunno - invernali hanno superato
la capacità di ritenzione idrica dei terreni provocando
dilavamento dei nitrati. Si considera che ogni saturazione idrica
di un suolo seguita da sgrondo dell'acqua gravitazionale riduce
a metà la quantità di sali solubili.
g) Efficienza degli effluenti zootecnici: quando il piano di
concimazione prevede l'utilizzo di effluenti zootecnici È
indispensabile considerarne l'efficienza nella stagione colturale
nella quale essi vengono impiegati e poi gli effetti residui
(cfr. capitolo Tipologia dei fertilizzanti azotati).
Tabella
1
Le Principali Specie Agrarie e i Limiti
Fisiologici del Loro Fabbisogno Azotato per una Produzione Medio-Alta
|
Fabbisogno
di Azoto
kg/ha |
Resa
ipotizzata
t/ha |
Cereali |
|
|
Frumento
tenero (Centro-Nord) |
180 |
6 |
Frumento
duro (Sud) |
140 |
4 |
Orzo |
120 |
5 |
Avena |
100 |
4,5 |
Segale |
80 |
4 |
Riso |
160 |
7 |
Mais
(irrigato) |
280 |
10 |
Leguminose
da granella |
|
|
Fava |
20 |
3 |
Fagiolo |
20 |
3 |
Pisello |
20 |
3,5 |
Piante
da tubero |
|
|
Patata |
150 |
30 |
Piante
industriali |
|
|
Barbabietola
da zucchero |
150 |
4,5 |
Colza |
180 |
3,5 |
Girasole |
100 |
3 |
Soia |
20 |
3 |
Piante
Orticole |
|
|
Aglio |
120 |
12 |
Carota |
150 |
40 |
Cipolla |
120 |
30 |
Rapa |
120 |
25 |
Asparago |
180 |
5 |
Bietola
da coste |
130 |
50 |
Carciofo |
200 |
15 |
Cavolo
verza e cappuccio |
200 |
30 |
Cavolo
broccolo |
150 |
15 |
Cavolfiore |
200 |
30 |
Finocchio |
180 |
30 |
Insalata
(Lattuga) |
120 |
25 |
Insalata
(Cicoria) |
180 |
35 |
Sedano |
200 |
|
Spinacio |
120 |
15 |
Cetriolo |
150 |
60 |
Cocomero |
100 |
50 |
Fragola |
150 |
20 |
Melanzana |
200 |
40 |
Melone |
120 |
35 |
Peperone |
180 |
50 |
Pomodoro |
160 |
60 |
Zucchina |
200 |
30 |
|